Dopo numerose riprese e lasciate ho finalmente chiuso questo viaggio ricco di avvenimenti che ha reso evidente ai miei occhi una amara verità.
Qui l'autore ha saputo condurci in quegli anfratti sperduti e disseminati lungo il continente, sconosciuti ai molti, dove miserie, ingiustizie, guerre e desolazione hanno preso il sopravvento.
Mi è parso d'intravedere più che un classico resoconto di viaggio un cammino di denuncia delle sofferenze altrui in una prospettiva storica che Vanna ha correttamente messo in luce.
Comprendo la critica che l'autore rivolge all'Europa che ai suoi occhi appare complice di un tale clima, sebbene lo annunci senza clamore, ma spiegandone la ragione sul piano culturale rispetto alla quale tuttavia non mi trova pienamente d'accordo. Egli individua la causa in una minoranza culturalmente gretta escludendono a mio avviso quella alta, affetta al pari della prima, dal medesimo pregiudizio e approccio imperiale con cui entrambe si sono confrontate, e tutt'ora si confrontano, nei rapporti con le comunità locali. In questo dialogo impari tra culture hanno preso vita meccanismi perversi dove si sono aggrovigliati scontri su scontri in un clima di terrore, miseria e spaesamento che hanno colpito in tutta la loro drammaticità gli ultimi, gli emarginati, gli indifesi.
Non resta dunque loro che aggrapparsi alla fede, abbracciare il mondo degli spiriti per non cadere nell’abisso più profondo. Un abbraccio che tuttavia non lascia loro speranza di costruire una società più equa, nel senso che noi intendiamo, perché le forze dello spirito prevalgono ovunque e governano ogni accadimento, giustificandolo. È difficile dunque secolarizzare un continente aggrappato com'è al mondo spirituale che lo trascina in una dimensione oscura che noi abbiamo saputo superare razionalmente avendone compreso i limiti, confinando la spiritualità laddove essa appartiene, ed è in questa oscurità che li tratteniamo perché ci è utile per molte ragioni, come ad esempio depredarli delle immense ricchezze di cui dispongono e privandoli persino della dignità.
È questo credo il senso che kapuscinski intende suggerire tra le pagine con cui attraversa un intero continente: una denuncia aperta dove i fatti lucidamente raccontati possano richiamarci in qualche modo alla responsabilità perché sappiamo di esserne se non la causa quantomeno una concausa.
Mi è piaciuta molto la dimensione orale del racconto che schiude i pensieri tra gli abitanti del villaggio appartati all'ombra dell'unico albero che vi regna. È una esperienza che accomuna un po' tutti i popoli ma in molte culture essa si è smorzata, se non persa. Lo stare uniti costruendo la memoria di una comunità attraverso la tradizione orale aiuta a rinsaldare i legami e sentirsi parte di un insieme e questo debbo dire è molto bello. Pensiamo ad esempio alle esperienze nei piccoli paesi che costellano la nostra Italia dove ancora oggi il racconto orale vive grazie ai nostri anziani.
Ho apprezzato molto queste pagine così ricche di particolari, rese nitide grazie a una scrittura lucida e lineare, che hanno saputo mostrare del paese immagini suggestive ma altrettanto e in gran misura immagini crude verso le quali spesso noi giriamo il capo per non vedere riflesso ciò che nell'animo sappiamo di esser capaci di compiere e che nell'intimo, meno in pubblico, ce ne vergogniamo
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