Ciao a tutti, è un periodo un difficile per me e per la mia famiglia e negli ultimi mesi leggere e distrarsi non è stato per nulla facile, quindi quando trovo un po' di animo per leggere mi butto a precipizio e ne approfitto, è per questo che ho già portato a termine la lettura di
Alice nel paese delle meraviglie, mi perdonate se non vi ho aspettati, vero?
Ho letto l'edizione Newton Compton (
mi trovo questa a casa e mi tocca accontentarmi) con la premessa di Simona Vinci e l'introduzione, note e traduzione di Paola Faini.
Più che della storia sono rimasta colpita dalla biografia dell'autore e del modo in cui è nata quest'opera. Ho trovato più di un riferimento all'autore, ad esempio nel primo capitolo quando Alice dice di se stessa:
a questa strana bambina piaceva molto fingere di essere due persone. "Ma adesso", pensò Alice, "non serve far finta di essere due persone! Guarda qui, c'è rimasto così poco di me che a stento basta farne una persona che si rispetti.
Infatti sappiamo che Carroll in realtà si chiamava Charls Lutwidg Dodgson e che tendeva ad avere una doppia personalità, da un lato il professore (Dodgson) dall'altro il Carroll un po' bambino e sognante che ama raccontare storie e trascorrere il tempo insieme alle bambine.
Di quest'ultimo aspetto ho trovato nella pagina finale del libro un altro riferimento. Stavolta è la sorella di Alice a parlare e dice:
Infine, cercò di immaginare come la sua sorellina, con il passa degli anni, sarebbe diventata donna; e come avrebbe conservato, anche nella maturità, l'animo semplice e tenero dell'infanzia; e come avrebbe riunito attorno a sé altri bambini, e avrebbe fatto brillare i loro occhi di desiderio, ascoltando il racconto di strane storie, e forse addirittura il sogno, ormai lontano nel tempo, del paese delle meraviglie; e come avrebbe condiviso i loro piccoli dolori, e avrebbe goduto delle loro semplici gioie, ricordando la sua infanzia e i giorni felici dell'estate.
Non ci vuole molto a capire che parla di se stesso.
Certo mi turba quest'area oscura di pedofilia che ruota attorno all'autore.
Nel capitolo
Pepe e Porcellino, quando
Dall'introduzione della Faini si apprende anche che amava fotografare le bambine, e insomma, non ne esce proprio bene...
Per quanto riguarda invece il messaggio del libro credo che sia tutto incentrato sulla crescita personale, sulla coscienza di sé, molte volte Alice ripete "
chi sono io? " oppure al bruco che le chiede
"Chi sei?" risponde
"Io, io al momento non saprei, signore - o almeno so chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma credo di esser cambiata molte volte da allora". Mi è sembrato un viaggio assolutamente folle, forse perché vissuto dalla mente di un bambino, dentro sé stessi.
A fine lettura però mi sono chiesta, come mai un libro completamente incentrato sul nosense a distanza di moltissimi anni riesce ancora ad essere amato? È l'Alice della cultura di massa (Disney ecc.) che amiamo, oppure il messaggio del libro?
Io ho la personale impressione che Alice venga amata perché nella cultura di massa rappresenta la follia, e l'uomo è sempre stato affascinato da questo tema. A onor del vero la frase più celebre del libro è:
"Ma io non voglio andare in mezzo ai matti", protestò Alice.
"Oh, non puoi evitarlo", disse il Gatto, "qui sono tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta".
"Come fai a sapere che sono matta?", domandò Alice.
"Devi esserlo", rispose il Gatto, "altrimenti non saresti venuta qui".