Il libro secondo è abbastanza differente. Si divide, più o meno, in tre parti:
Una prima parte, la più lunga, in cui Agostino accusa Petrarca di tanti errori e peccati. Nella seconda parte è Petrarca a parlare delle sue debolezze, nella terza parte Agostino dà dei consigli per superare quelle debolezze.
Mi ha colpito la veemenza delle accuse di Agostino. A Petrarca viene detto di essere, tra le altre cose, superbo, di credere, sbagliando, che intelletto e letture lo salveranno, di essere troppo attaccato ai beni terreni, di essere ozioso, disprezzare gli uomini, di essere vanesio, di peccare di lussuria e di accidia.
Insomma, Agostino ci va giù pesante.
Un libro scritto in forma di dialogo in cui l'autore è uno dei due protagonisti ti fa pensare che l'altro protagonista realmente sia un'altra persona. A volte ho l'impressione che quest'Agostino sia il vero Sant'Agostino. Invece devo continuamente tenere a mente che quest'Agostino è il Petrarca stesso, che tramite lui si autoaccusa. E' la ragione di Petrarca che confessa i suoi peccati. Ma invece di farlo in prima persona, lo fa nella forma di un maestro illuminato, la Verità, che gli punta il dito contro. E' come se Petrarca non riuscisse ad ammettere fino in fondo le sue colpe, a dire "io sono così".
E questo mi sembra venga fuori benissimo nella seconda parte del libro, quando è Petrarca a parlare. Qui l'autore usa tante parole per esprimere, in fondo, tre concetti: che se è infelice e non può seguire la virtù la colpa è della Fortuna che continua a bastonarlo, del suo corpo che continua a dargli dolori e tentazioni, e dell'ambiente in cui vive, ossia quella città fatta o di poveracci miserabili o di ricconi immorali.
Insomma ho avuto l'impressione che Petrarca volesse qui scaricare le colpe senza ammettere davvero nulla.
Nell'ultima parte mi sembra che Agostino un po' si perda. Va a parlare di ciò che Petrarca ha tirato fuori, senza davvero metterlo di fronte alle proprie debolezze come invece ha fatto nella prima parte. L'ho trovata un'incongruenza.
Un passo mi ha colpito particolarmente, quando Agostino parla della condizione umana:
Non sai che fra tutti gli animali l'uomo è proprio il più bisognoso?
Osservalo quando nasce nudo e informe, tra i vagiti e le lacrime e tale da dover essere consolato con un poco di latte. Guardalo tremante e incapace di reggersi in piedi, bisognoso dell'aiuto altrui, vestito e nutrito da povere bestie senza parola. Il suo corpo è debole, il suo animo inquieto; le malattie lo assediano, le passioni lo attanagliano, le une e le altre delle specie più diverse. E' privo di discernimento, ondeggia tra la gioia e il dolore, non sa padroneggiare il proprio volere, è incapace di frenare i propri istinti. Non conosce che cosa gli possa essere utile e in quale misura; quanto debba mangiare o bere. Deve procurarsi con gran fatica quel sostentamento che gli altri animali hanno a loro disposizione; e poi il sonno lo stordisce, il cibo lo gonfia, il bere lo sconvolge, la veglia lo affatica, la fame lo macera, la sete lo consuma. E' avido e pauroso; quello che possiede lo annoia, ciò che ha perduto lo addolora; è sempre in ansia, tutto insieme, del presente, del passato e del futuro. Va superbo tra le sue miserie consapevole della propria inanità; più spregevole degli spregevoli vermi è destinato a una vita breve, a un'età incerta e a una morte inevitabile, ed è pure esposto a mille generi di morti.
Questo passo mi ha ricordato il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia di Leopardi. Ne riporto solo una piccola parte:
Nasce l'uomo a fatica,
ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
per prima cosa; e in sul principio stesso
la madre e il genitore
il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
l'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
con atti e con parole
studiasi fargli core,
e consolarlo dell'umano stato:
altro ufficio più grato
non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Entrambi i passi si basano su convinzioni che la biologia, l'etologia e la storia dell'evoluzione hanno cancellato o quantomento modificato (giusto per fare un esempio: il pensare gli animali come felici e beati, che vivono una vita semplice, perfettamente adattati al mondo, mentre invece l'uomo solo vivrebbe tra immani fatiche in un mondo ostile). Però riescono a descrivere con grande profondità gli affanni che ogni uomo deve sopportare, gli ostacoli che ognuno di noi deve scavalcare, la condizione di dipendenza che abbiamo nei confronti degli altri. Per me scoprire che Petrarca è arrivato a più o meno gli stessi pensieri di Leopardi è stata una vera rivelazione che mi ha davvero meravigliato. Con questo passo la mia stima nei suoi confronti è aumentata tantissimo.