NOTA ALLA NUOVA EDIZIONE
In questa edizione riveduta e corretta del mio romanzo di trent’anni fa le varie e sparse modificazioni che ho apportato al testo originario non ne mutano né la struttura narrativa né lo stile – che fatalmente deve essere quello di un cronista medievale. Ho eliminato alcune ripetizioni di uno stesso termine a poche pagine di distanza e spesso mi sono preoccupato del ritmo, perché basta eliminare un aggettivo o togliere un inciso per rendere più aereo un intero periodo. Ho fatto come un dentista quando, una volta messa una protesi, il paziente sente in bocca come un masso, e lui con un lievissimo passaggio di trapano fa sì che i denti sembrino incastrarsi meglio.
Ho eliminato poche sviste dovute a una traduzione frettolosa delle fonti medievali; per esempio avevo trovato menzionata su un erbario dell’epoca la cicerbita (che è una specie di cicoria) e l’avevo letta come cucurbita, facendola diventare una zucca – e la zucca nel Medioevo non era nota, dato che ci è poi pervenuta dalle Americhe. Così era accaduto con una illecita menzione dei peperoni e di un violino – che all’epoca non poteva essere che una viella, una sorta di viola. In un punto Adso dice che ha fatto qualcosa in pochi secondi mentre nel Medioevo la misura temporale del secondo non esisteva. È vero che, visto che il racconto appare come la traduzione della versione francese ottocentesca di un testo medievale, i secondi potrebbero benissimo essere imputati al mio abate Vallet, e io avrei potuto lasciar perdere. Ma dal momento che si è deciso di rivedere e correggere, si diventa pignoli.
Forse le variazioni più consistenti (ma siamo sempre nell’ambito di poche righe) riguardano la descrizione della faccia del bibliotecario, dove volevo eliminare un plateale riferimento neogotico, e certe citazioni latine. Il latino era e rimane fondamentale per conferire alla vicenda il suo sapore conventuale e testificare come attendibili e autentici certi rimandi a idee dell’epoca; d’altra parte voglio sempre sottoporre il mio lettore a una qualche disciplina penitenziale. Ma mi aveva disturbato che alcuni mi avessero detto che per certe citazioni si sentivano obbligati a consultare un dizionario di latino. Troppa grazia, perdevano il fluire del racconto. A me non importava e non importa che le citazioni latine siano comprese, specie quando sono semplici titoli di libri; servono a dare l’impressione di lontananza storica. Ma mi ero accorto che in qualche caso se non si capiva la citazione non si comprendeva bene che cosa raccontavo. L’editore tedesco si era sentito in dovere di mettere in appendice un dizionarietto con la traduzione delle frasi latine, ciò che mi era parso eccessivo. La mia editrice americana Helen Wolff mi aveva fatto notare che un lettore europeo, anche se non aveva studiato latino a scuola, aveva in testa tante iscrizioni lette sulle facciate di palazzi o di chiese, e aveva udito tante citazioni vuoi filosofiche, vuoi giuridiche, vuoi religiose, per cui non rimaneva terrorizzato da parole (che so) come dominus o legitur. Un lettore americano, invece, avrebbe avuto difficoltà molto più serie – come se da noi apparisse un romanzo con copiose citazioni in ungherese. Allora col mio traduttore Bill Weaver (e parlo di trent’anni fa) ci si era messi ad alleggerire, sia pure di poco, i brani latini, talora lasciando la citazione ma parafrasandone poi la parte più rilevante – e così facendo avevo in mente gli usi delle mie parti, là dove, mentre si parla dialetto, si sottolineano le affermazioni più importanti ripetendole in italiano. Rileggendo poi la versione inglese mi ero reso conto che quegli alleggerimenti rendevano più sciolti certi passaggi. Così ho adottato criteri analoghi per questa edizione italiana. Per esempio, a un certo punto Guglielmo cita Bacone e dice: “E di tutte queste conoscenze una scienza cristiana dovrà reimpossessarsi, e riprenderla ai pagani e agli infedeli tamquam ab iniustis possessoribus.” Ora ho così integrato: “E di tutte queste conoscenze una scienza cristiana dovrà reimpossessarsi, e riprenderla ai pagani e agli infedeli tamquam ab iniustis possessoribus, come se non essi ma solo noi avessimo diritto a questi tesori di verità.”
Per il resto, come ho detto, sono variazioni fatte non tanto a vantaggio del lettore bensì a vantaggio mio di ri-lettore, per farmi sentire stilisticamente più a mio agio là dove il discorso mi pareva un poco ansimante.
Umberto Eco