Ho finalmente letto l’unico libro che - chissà perché - avrei voluto davvero leggere con voi durante questa maratona. E ora che l’ho fatto, ne ho scoperto il motivo: perché è bello

. Meglio del cerebrale
Orlando, e ancor più dell’insopportabile
Mrs Dalloway …
Trovo difficile, molto difficile recensire l’opera di Virginia Woolf: anche in
Gita al Faro la trama è impalpabile e trasparente come l’aria, mentre le frasi fuggono veloci e (apparentemente) slegate tra loro, come le nuvole. Ma dopo tante pennellate, che in corso d’opera magari non dicono niente, a lavoro ultimato si resta soddisfatti nel godere della visione d’insieme.
Quanto al significato, non sono sicuro d’averlo colto nella sua interezza. Anzi, sono certo che qualcosa (molto) sia andato perso. Perché questo libro tratta - in maniera non dichiarata e sistematica - del rapporto tra marito e moglie e tra genitori e figli, di speranze e delusioni, dello scorrere del tempo, della vita e della morte e altro ancora. Tanto, forse troppo, per essere colto nella sua interezza in una volta sola (per questo, prima o poi, una rilettura si renderà necessaria).
La narrazione si divide in tre parti. Nella prima, che temporalmente rappresenta mezza giornata, facciamo conoscenza con i membri della famiglia Ramsay e alcuni loro amici, in vacanza alle isole Ebridi. Significativamente questa parte s'intitola
La finestra: una finestra spalancata sul giardino e sul mare in lontananza, ma soprattutto sull’anima e la mente dei vari personaggi. La seconda parte è invece incentrata sullo scorrere del tempo: in poche pagine vengono riassunti dieci anni di profondi cambiamenti, come se il punto di vista fosse quello della casa abbandonata. Infine, nella terza parte, che dura una sola mattina, la gita ch’era stata programmata e poi rinviata dieci anni prima, viene finalmente compiuta da coloro che sono sopravvissuti. Ma con uno stato d’animo completamente mutato …
In quest’opera molti sono gli elementi autobiografici che la Woolf riprende e rielabora, a partire dalla figura materna. E questo contribuisce a rendere il racconto delicato e toccante. Anche perché certe esperienze e certi sentimenti sono universali. Ad esempio, come non rimanere colpiti dal senso di smarrimento che segue la perdita d’una persona amata, del Faro che illumina il nostro cammino? Lo provano i personaggi, l'ho provato anch'io.
Infine, un’annotazione stilistica. Ho letto
Canto di Natale di Dickens subito dopo
Gita al Faro. E inevitabile è stato il raffronto tra due diversi tipi di scrittura. Entrambi poetici: uno, semplice e diretto, l’altro raffinato e lambiccato. Inutile dire a chi vada - in genere - la mia preferenza. Eppure, in questo caso, entrambi hanno saputo giungere al cuore, anche se il percorso della Woolf è stato assai più tortuoso. Ho però scoperto che alla Woolf i romanzi di Dickens non piacevano, poiché li riteneva "un immenso ammasso di personaggi, luoghi e fatti, legati debolmente fra loro, tendenti a disperdersi e a frammentare la nostra attenzione in tanti rivoli da farci abbandonare tutti i suoi libri per disperazione". Da che pulpito! Vabbè, per stavolta - Virginia - ti perdono, perché non sai quel che dici ...
Voto 8