Commento a fine libro.
Metto subito in chiaro la mia posizione: mi è piaciuto tantissimo, lo considero tra i libri più belli che abbia mai letto. Non ho letto molti romanzi sulla guerra ma questo è finora il mio preferito. Le distruzioni, le ansie, le paure sono analizzate e descritte benissimo. In ogni sua frase c’è almeno un granellino di poesia.
Il tono è sempre distaccato, perché distaccato dal resto del mondo è il protagonista. Quindi, come giustamente han fatto notare Giorgia e Francesca, è difficile entrare in empatia con lui.
Non vengono dati giudizi morali. Qualche simpatia politica c’è, ma anche in questo il protagonista segue la sua linea solitaria, non si schiera, non si aggrega, si tira fuori dalla guerra. E’ davvero isolato sulle colline, lontano sia dai bombardamenti cittadini che dai monti della guerriglia, sia dalle passioni che dalle azioni.
Si sa poco di lui, ha una quarantina d’anni e sente che la vita gli è già scivolata di mano, senza che se ne fosse accorto. E’ uno spettatore, che osserva il mondo con uno sguardo sconsolato ma originale e poetico. In tutte le cose va a pescare il lato negativo, perché altrimenti sente di mentire a se stesso. Spesso amplifica le questioni fino a renderle problemi enormi, così ha la scusa per non agire.
E’ sempre in attesa che la storia si risolva da sé, sperando di esserne meno coinvolto possibile. Gli eventi fondamentali (la caduta di Mussolini, l’8 settembre, la repubblica di Salò, la guerra civile) sono appena accennati, ciò che è descritto è il loro effetto sulle vite delle persone, su quella del protagonista. Perché anche se faceva di tutto per tenersene alla larga in quel periodo la Storia per forza di cose andava a influenzarne la vita, nessuno aveva più il controllo di ciò che gli sarebbe accaduto, si viveva alla giornata in balia del caso, anche in provincia, anche in campagna.
Il suo è un inno all’inettitudine, alla stasi: visto che c’è la guerra, è inutile preoccuparsi delle piccolezze della vita quotidiana. Così come, più in generale, visto che c’è la morte, è inutile vivere la vita: sarebbe tutta una facciata, un mettere la testa sotto la sabbia. Si muore, non conta nient’altro, e si immusonisce così. E’ all’estremo opposto dei personaggi del film Amici miei di Monicelli, che visto che si muore e non conta niente, prendono tutto come un gioco e cercano di godersela il più possibile. C’è sempre chi sta peggio, certo, accontentiamoci ma senza entusiasmo che è tutto inutile. In questa convinzione lo aiuta anche il confronto, che fa in continuazione, con la Natura, la quale va avanti fregandosene dell’Uomo e delle sue cose. Anche la sconvolgente guerra è nulla per Lei: il vento, le nubi, le stelle sono sempre le stesse, immutabili, indifferenti. Non prendiamoci troppo sul serio quindi, non contiamo nulla.
L’unico momento di azione del protagonista è il lungo ritorno a casa, con i pericoli, le paure, le fughe, i nascondigli. In questa parte del romanzo anche lo stile si modifica e diventa più serrato. E’ solo quando si lotta per la sopravvivenza che si agisce. E come lotta Corrado? Non combattendo ma scappando, nascondendosi, tornando a casa, al rifugio-ventre materno.
Se il protagonista è un simbolo dell’Uomo in quanto essere vivente, allora mi ricorda tanto l’Uomo che cammina di Giacometti; scava fino all'essenza e troverai un essere solo, fragile, instabilmente allungato, brutto e deforme, che fa una sola cosa: camminare, andare avanti, sopravvivere.