Terminata la lettura: fatto salvo il messaggio del libro, riassunto nel volo del colibrì che simboleggia la resilienza umana, confermo la totale mancanza di genuinità avuta in precedenza.
Come diceva Vanna, anche a me tutto è parso forzato, studiato. Sembra infatti che l’Autore abbia anzitutto mirato ad accattivarsi la più larga schiera di lettori possibile (l'età consigliata potrebbe essere compresa tra 0 e 99 anni), badando bene a non scontentare nessuno. Ecco allora questa sorta di
collage stilistico e contenutistico, fatto di citazioni continue e rimandi più o meno scoperti, in cui si ritrova un po’ di tutto: nozioni d’architettura e medicina, per chi ha studiato; fantascienza e manga, per chi non ama le letture impegnate; scambi epistolari vecchio stile, per chi è romantico; telefonate e messaggini whatsapp, per i più tecnologici; un po’ di musica anni settanta, per i nostalgici; ideogrammi giapponesi e qualche vocabolo ebraico, indiano o coreano, per far sfoggio d’internazionalità e per finire anche qualche parolaccia, che fa sempre "giovane" e "moderno".
Smaccato è poi l’intento di commuovere: e allora via con i vari disturbi della personalità, gli incidenti stradali, aerei e navali, i suicidi, i tumori in serie e l’eutanasia. E per finire, un bell’inno alla fratellanza universale, con la bambina dalla carnagione scura, gli occhi a mandorla e le pupille azzurre. No davvero, non manca proprio niente, se non il dubbio che nell’Autore avrebbe dovuto, a un certo punto, spontaneamente sorgere: ossia che fosse persino troppo!
Il caso ha voluto che leggessi l’uno di seguito all’altro due premi Strega, accomunati anche dal riferimento animalesco del titolo:
Il Gattopardo e
Il colibrì. Le analogie però finiscono qui: perché il gattopardo - in natura come in letteratura - si sbranerebbe il colibrì, sputandone poi gli ossicini, perché indigesti.
Ora, se non fosse per il timore di suscitare del risentimento in chi ha comunque trovato motivi d’apprezzamento, stroncherei l’opera di Veronesi con maggior vigore, senza alcuna pietà e persino con intima soddisfazione. Trovo infatti profondamente ingiusto che
Gattopardo e
Colibrì si ritrovino ora a condividere – sia pur a distanza di sessant’anni – lo stesso premio, tanto da domandarmi chi componesse la giuria e quali siano stati i criteri che hanno determinato questa scelta (forse la mancanza di un’adeguata concorrenza?)
Mi si potrebbe tuttavia rispondere che i gusti son gusti: a te piace una cosa, a me n’è piaciuta un’altra. Ma un dubbio rimane: possibile che in letteratura tutto sia così relativo, e che non esista alcun criterio oggettivo per poter classificare il valore di un’opera? Eppure d’una cosa mi sentirei abbastanza sicuro: tra sessant’anni,
Il Gattopardo sarà ancora letto, amato e soprattutto ricordato, mentre de
Il colibrì se ne saranno ormai perse le tracce e le piume. Ecco, sarà allora il tempo a decretare davvero chi è il migliore: ma per quanto mi riguarda (scopo di posizionamento

) già al momento io non nutro alcun dubbio.