Ganze le lenti del giurista!

Beh, di certo le leggi di tutela del consumatore ci fanno sentire tutti più tranquilli, ed è giusto che ci siano, però non avevo mai riflettuto sull'uso della parola. "Consumo" non è una parola brutta di per sé, rappresenta qualcosa che accade quotidianamente: la benzina si brucia, gli oggetti si usurano, il cibo si ingerisce e si trasforma. È in consumismo sfrenato il problema, la logica dell'usa-e-getta, l'accumulo compulsivo di roba che non si riesce a smaltire.
Mi sono letta il capitolo II, "Avere ed essere nell'esperienza quotidiana". Mi sto molto appassionando. Nella parte riprende il discorso sull'amore e sì, confermo i tuoi ricordi sul fatto che la personificazione di Amore come forza esterna, potente e crudele, è molto antica. Per quello criticavo Fromm quando fa distinzioni un po' partigiane tra antichità ed età contemporanea: non mi sembra che gli antichi fossero immuni a queste logiche. Ma per il resto trovo la sua analisi delle due forme d'amore estremamente attuale, ci sono voluti anni prima che si cominciasse a dare più spazio, nelle forme d'arte e nella cultura in generale, all'amore solido e genuino, "produttivo" come lo chiama Fromm. Tutt'ora i film d'amore sono strappalacrime o pieni di gesti eclatanti e drammatici; ma, ripeto, mi sembra che oggi ci sia un po' più di varietà.
Ma la parte che voglio riportare qui anche ad uso e consumi degli altri lettori del forum è, appunto, uno dei paragrafi dedicati all'atto del "leggere". Mi sono un po' commossa!
I cosiddetti "ottimi" allievi sono quelli che sanno ripetere, con maggiore accuratezza, ciò che ciascuno dei vari filosofi ha detto. Costoro sono paragonabili a una guida di museo bene informata; quel che apprendono non va al di là dei limiti di questa conoscenza possessiva. Non imparano a interrogare i filosofi, a dialogare con loro; non imparano a cogliere le contraddizioni dei filosofi stessi, né a rendersi conto che scansano certi problemi o evitano di fornire una risposta; non imparano a distinguere tra quanto era nuovo e quanto gli autori non potevano fare a meno di pensare perché rispondeva al "comune buon senso" dell'epoca loro; non imparano ad ascoltare in modo da poter distinguere quando ciò che gli autori dicono proviene dal loro cervello, e non è dettato dal cervello e dal cuore insieme; non imparano a scoprire se gli autori sono autentici o fasulli; e si potrebbe continuare a lungo.
Penso che Fromm, con l'espediente della negazione, abbia composto davvero il perfetto manifesto del lettore! Solo ad immaginare di leggere così provo un senso di libertà e di gioco, quasi, nel poter dialogare con gli autori del passato con rispetto ma senza paura.
Un'altra cosa che mi piace di questo autore è che, sebbene la sua posizione sia chiara nell'atto del valutare le due modalità esistenziali, "avere" ed "essere", lo sento sempre piuttosto distaccato e non-giudicante nei confronti di chi si muove secondo le logiche dell'avere. Ogni tanto forse forza le distinzioni, là dove più facilmente nella realtà si trovano scale di grigi, ma per il resto mi sembra un osservatore acuto e niente affatto moralista. Non si perde in prediche: va dritto ai fatti.