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Carlo Alberto Sallustri, in arte Trilussa (anagramma del suo nome), nasce a Roma nel 1871, da una sarta bolognese e un cameriere originario di Albano Laziale. Trilussa si scontra subito con la morte: dopo solo un anno dall'inizio della sua giovane vita, infatti, la sorella Elisabetta muore, e nel 1874 muore anche suo padre.

Fin dalla gioventù non si dimostra uno studente diligente, viene anzi bocciato diverse volte a scuola. È nel 1887, all'età di sedici anni, una volta abbandonati totalmente gli studi, che Trilussa vede il suo ingresso nel mondo letterario.
Sul Rugantino, una rivista in dialetto romanesco, viene pubblicato per la prima volta un suo sonetto dal titolo L'invenzione della Stampa. Da qui inizia la collaborazione che porta alla pubblicazione di una serie di poesie raccolte in Stelle de Roma, componimenti che avevano lo scopo di omaggiare le donne più belle di Roma.
Nelle poesie di Trilussa è notevole il legame intenso con la sua romanità, e la ricerca spassionata della bellezza delle piccole cose. Spesso si scontra con temi amari, ponendoli su un piano ironico, o invita a guardare situazioni difficili con un occhio ottimistico. Una delle sue famose poesie in cui si vede questa visione positiva ma mai superficiale del mondo è La Tartaruga.

Mentre una notte se n'annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo più lungo
de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: "Scema che sei!
Queste sò scappatelle che costeno la pelle..."
– lo so – rispose lei – ma prima de morì,
vedo le stelle.

Le sue poesie sembrano abili nel cogliere le contraddizioni della vita come fa ad esempio in questi versi brevissimi che chiama La Lucciola.

La Luna piena minchionò la Lucciola:
– Sarà leffetto de l'economia,
ma quer lume che porti è deboluccio...
– Si – disse quella – ma la luce è mia!

Perfino la grandezza della luna viene messa in dubbio, di fronte a una lucciola, un minuscolo insetto coleottero che ha però in sé qualcosa di straordinario, la possibilità di emettere una luce propria, cosa che non può fare la luna sbruffona, che nella sua bellezza, nella sua grandezza, può solo riflettere una luce non sua.

Così come Trilussa amava la sua città, Roma ha sempre amato Trilussa e questo lo dimostra la sua statua in bronzo situata nella piazza che porta il suo nome, nel centro di Roma. Accanto alla statua, una delle sue più famose poesie, All’ombra, che sembra un inno alla libertà di esprimersi, la stessa libertà che contraddistingue Piazza Trilussa, oggi luogo di incontro della gioventù romana.

Mentre me leggo er solito giornale
spaparacchiato all'ombra d'un pajaro
vedo un porco e je dico: - Addio, majale! -
vedo un ciuccio e je dico: - Addio, somaro! -

Forse 'ste bestie nun me capiranno,
ma provo armeno la soddisfazzione
de potè di' le cose come stanno
senza paura de finì in priggione.

Poco dopo essere stato nominato il 1° dicembre 1950 dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi senatore a vita, Trilussa muore, il 21 dicembre dello stesso anno. Un giorno particolare, il 21 dicembre, infatti ottantasette anni prima lo stesso giorno moriva Giuseppe Gioacchino Belli, forse il più grande poeta romanesco vissuto prima di Trilussa.

Viviamo un momento storico che ci sottopone a prove molto dure, combattiamo la battaglia silenziosa della paura nelle nostre case, mentre negli ospedali c'è una lotta armata contro un nemico invisibile. In questo momento quello che possiamo fare è stringerci in un abbraccio distante, stringerci in una poesia:

Pe' conto mio la favola più corta
è quella che se chiama Gioventù:
perché... c'era una vorta...
e adesso non c'è più.

E la più lunga? È quella de la Vita:
la sento raccontà da che sto ar monno,
e un giorno, forse, cascherò dar sonno
prima che sia finita...

(articolo a cura di Vanessa Del Chiaro Tascon)

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