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Bianca Rita Cataldi ha esordito giovanissima nel 2009, quando è stata finalista al Premio Campiello Giovani con Il fiume scorre in te. Da allora, le pubblicazioni si sono susseguite in un percorso che l'ha portata oggi a cimentarsi con la saga familiare. Acqua di sole, uscito lo scorso 18 giugno per Harper Collins Italia, racconta di due famiglie pugliesi – una coltivatrice di fiori, l'altra produttrice di profumi – e dei loro due rampolli Michele e Teresa, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Quali saghe familiari ami particolarmente e quale avevi in mente quando hai iniziato la stesura di Acqua di sole?

Sono una grande fan della saga dei Cazalet di Elizabeth Jane Howard, quindi il modello della saga anglosassone (un focus ristretto ma, al tempo stesso, tanti personaggi, più di una famiglia) era ciò che avevo in mente quando ho iniziato a scrivere. Tutti mi chiedono della Ferrante, ma la verità è che ho iniziato a leggere L'amica geniale solo dopo aver steso la prima bozza.

Una scelta molto interessante è quella del punto di vista, che è in prevalenza quello di Michele. Come mai hai scelto di farci guardare il mondo per lo più attraverso gli occhi di un bambino?

Ho sempre pensato che il bambino fosse un narratore affidabile (nei limiti del possibile). È molto difficile che un bambino menta a se stesso: di solito, guarda la realtà con occhi puliti e, anche se non sempre ne capisce i significati nascosti, è capace di raccontare ciò che vede con onestà. Sarà poi il lettore a riempire i vuoti lasciati dall'ingenuità del bambino narratore. Ecco, mi è sempre piaciuta quest'idea del lettore che deve riempire i vuoti e capire, grazie alla sua esperienza, ciò che il narratore è ancora troppo piccolo per comprendere.

La famiglia Gentile coltiva fiori, la famiglia Fiorenza produce profumi. Ti sei ispirata a famiglie realmente esistite, c'è una tradizione in questo campo nel barese? Che cosa ti affascina dell'arte profumiera, tanto da averla resa protagonista di questo romanzo?

Tutta la parte dedicata a Terlizzi e ai fiori è ispirata a famiglie reali (non a una in particolare, ma a tante famiglie diverse, e tra queste anche la mia). Terlizzi è davvero conosciuta come 'città dei fiori', anche se ho forzato un po' la mano alla realtà storica perché negli anni Cinquanta non aveva ancora conquistato questa nomea. Nella fiction, la famiglia Gentile è quindi una pioniera del commercio in questo campo. La vera tradizione è quella dei fiori, mentre i profumi non sono davvero una realtà del barese, ma mi è piaciuto immaginare che potesse esserlo. Mi affascina molto il mondo del profumo, la ferrea struttura chimica che c'è dietro. È una metafora che rappresenta appieno i Fiorenza, i loro delicati equilibri familiari e le apparenze da preservare.

Siamo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Michele lascia la campagna per andare a scuola a Bari. Che ruolo rivestiva allora l'educazione e cosa significava essere lo "studiato" della famiglia? Le cose sono cambiate oggi?

All'epoca, la differenza tra Bari e i paesi circostanti era molto evidente. Adesso Terlizzi è una vera e propria città, conosciuta a livello internazionale per i suoi fiori e per la famosa festa della Madonna di Sovereto (che è anche nel libro), ma all'epoca era un semplice paese, prevalentemente rurale. Studiare in paese, quindi, non aveva la stessa valenza dello studiare in città. Più che altro, si puntava a saper leggere e far di conto, e poi si finiva dritti nei campi, soprattutto se la famiglia aveva già un commercio avviato in quel senso. In famiglie del genere, legate alla terra, colui che voleva studiare era visto come una mosca bianca e, soprattutto, non si capiva la logica alle spalle del suo desiderio di istruirsi. Perché studiare se c'è già la terra che dà da mangiare? Nel libro, lo zio Andrea si fa portavoce di questo pregiudizio popolare, e arriva al punto di accusare zia Elisa (la 'studiata' della famiglia) di essersi fatta fare il lavaggio del cervello dalla scuola. Adesso la situazione è diversa, ma non troppo. C'è stato un periodo in cui non facevo altro che leggere su Facebook insulti contro i 'laureati' e cose del tipo 'non fidatevi di chi ha studiato troppo'. Sotto sotto, zio Andrea è ancora tra noi, solitamente nascosto dietro lo schermo di un computer.

Il romanzo è ambientato nella tua terra, tra Terlizzi e Bari, ma tu vivi all'estero da qualche anno. Scriverlo ha curato o acuito la nostalgia di casa?

Entrambe le cose, credo. La parte più divertente di tutto ciò è il fatto che questo libro è venuto con me dappertutto: ho avuto l'idea mentre facevo colazione con la mia editor dell'epoca (Ilaria Marzi, che non smetterò mai di ringraziare) in un albergo a San Benedetto del Tronto; ho scritto la primissima, sbilenca bozza nell'estate del 2018 a casa dei miei genitori, a Bari, durante le vacanze. Poi l'ho rivisto mentre ero a casa a Dublino e, quando ho consegnato la bozza per il secondo giro di editing, ero a Tallinn, a gelarmi i piedi nella neve con tredici gradi sotto zero. A seconda di dove fossi, questo libro ha curato e acuito la nostalgia in parti uguali.

Com'è cambiato il tuo modo di vivere la scrittura – e la lingua in cui scrivi – da quando vivi a Dublino?

È diventato un pasticcio inestricabile. Certe mattine, mi sveglio con l'idea di un racconto in inglese, ma poi penso che forse sarebbe più facile in italiano, però magari se lo scrivo in inglese... Insomma, è diventato complicato. Adesso, però, mi sono data una regola: i romanzi sempre in italiano, le short stories in inglese. E poi, agli italiani comunque frega ben poco dei racconti, ahimè.

Michele – e non solo lui – deve diventare grande, ha ancora tanta strada da fare... prevedi un seguito per Acqua di sole?

Lo vedo e prevedo, sì! In realtà, buona parte è già su carta, ma molto dipende dall'accoglienza che i lettori riserveranno a questo primo volume. Non ha senso continuare una saga se poi non c'è un pubblico che abbia voglia di leggerla. Però sì, nella mia mente è tutto molto chiaro, e vorrei davvero poter raccontare il dopo, che non è solo la storia di due famiglie ma anche quella di un'Italia (del sud) che attraversa il Sessantotto e gli anni di piombo. Sono anni di cui vorrei poter raccontare la storia attraverso le vite di queste due famiglie così diverse e, al tempo stesso, così simili.

(articolo a cura di Elisa Occhipinti)

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