Virità è una voce, una voce potente che Giusy Sciacca ha dato a ognuna delle 20 donne protagoniste di questo libro. Una voce imponente che dalla Sicilia fa eco in tutto il resto d'Italia e, attraverso una serie di biografie e racconti verosimili, grida forte "io, donna, c'ero, e adesso vi racconto chi sono stata."
L'autrice, nata a Lentini, vive tra Roma e Siracusa. È controllora del traffico aereo, autrice di racconti, romanzi e testi teatrali. Scrive di libri per diverse testate giornalistiche – La Sicilia, SicilyMag e La Voce di New York – e ha fondato il blog Parola di Sikula, dedicato ai libri e alla cultura. È inoltre ideatrice e curatrice del Premio Nazionale di Poesia Sonetto d'Argento Jacopo da Lentini. In occasione dell'uscita del suo ultimo lavoro editoriale Virità, femminile singolare - plurale (Kalòs Edizioni), Il Club del Libro ha colto l'occasione per farle qualche domanda.
Il Club del Libro: credo fermamente che un libro nasca dall'esigenza dello scrittore di raccontare qualcosa, da quale esigenza nasce Virità, femminile singolare - plurale?
Giusy Sciacca: tutto nasce da un amore viscerale nei confronti della Sicilia. Mi sono sempre appassionata alla sua storia e di come già da tempi lontanissimi fosse intessuta di cultura, ovviamente, mediterranea e internazionale. Pur vivendo tra Roma e Siracusa (dopo tanti anni di Lombardia!), guardo la Sicilia da lontano e la distanza funge da filtro amplificatore. Da un lato stigmatizza, dall'altro moltiplica ogni suggestione, la nostalgia, l'anelazione. E diventa così un "altrove" meraviglioso e quasi inafferrabile per l'abbondanza di bellezza. Avevo bisogno di ripercorrere la storia mia e della mia terra con uno sguardo ben preciso: volevo concentrarmi sulle figure femminili, sulle protagoniste – spesso in trincea – di un passato che appartiene a tutti, siciliani e non. Per questo motivo gli scenari che precedono ogni racconto sono veri, documentati e le donne di Virità sono tutte figure storiche o appartenenti alla leggenda. Ma non immaginarie. Di fantasioso c'è solo la mia interpretazione delle loro voci attraverso un io lirico, liberato da ogni filtro.
Raccontaci del processo di scrittura, se è stato difficile reperire i documenti, i libri che hai letto, le ore di studio...
Ho dedicato moltissimo tempo alla ricerca e, ancor prima che alla lettura, al vero e proprio reperimento delle fonti. L'ultima parte poi proprio durante la pandemia. 
Lo studio era già iniziato molti anni prima. La storia delle donne è un argomento che mi interessa dagli anni universitari, ma all'epoca l'idea di Virità era lontana anni luce. Poi, quasi due anni fa, scrissi un monologo per un'attrice del teatro di Catania. Si trattava di Peppa la Cannoniera e mi resi conto che la sua voce funzionava. Tuttavia, c'era molto altro che in un monologo teatrale si sarebbe perso. Volevo "narrare" e includere una serie di informazioni di contesto che avrebbero potuto arricchire il lettore, mai tediarlo o infastidirlo nella lettura. Incuriosirlo, semmai. La parte sfidante è stata quella di ideare una forma, appunto. Un contenitore per il mio progetto, che da subito si è presentato come un esperimento, una contaminazione di generi con la narrativa al centro.
Il dialetto siciliano contamina tutto il libro, sapevi che sarebbe stato presente dal momento in cui hai concepito l'idea di scriverlo? Durante il processo di scrittura hai avuto timore che non tutti riuscissero a capirti?
La narrazione instaura una magia e un patto con ogni lettore. Per poterlo rispettare i personaggi, gli scenari, i dialoghi devono essere credibili. In due o tre racconti il dialetto è più presente, perché è fedele al contesto e alla "parlante". Non avrei mai potuto scrivere il racconto di una popolana analfabeta in prima persona, come la Vecchia dell'Aceto o Peppa la Cannoniera, senza utilizzare regionalismi o addirittura provincialismi che tenessero conto delle differenze tra Palermo e Catania, per esempio.
Non avrei rispettato né il personaggio, né il lettore. Ho cercato di bilanciare e di dosare in maniera opportuna l'uso della lingua, italiano/siciliano e forbito/verace. Nel caso di molte altre donne, di ceto e livello culturale più alto, il linguaggio invece è forbito e ricco di riferimenti letterari, storici e geografici. In quei casi un giusto uso della sintassi permette una pennellata appena, come una semplice ma autentica inflessione, che rende il personaggio attendibile. È per questo che Damarete o Costanza usano tutt'altro registro. Ancora diverso è quello della ninfa Aretusa o di Santa Lucia, elevatissimo quello di Mariannina Coffa o Santa Eustochia. 
La ricerca è stata anche questo: in una campionatura di personaggi così vasta, altalenare i registri "vestendo" i personaggi anche con un uso appropriato e verosimile della lingua.
Ci sono poi degli escamotage che permettono di venire incontro ai lettori non siciliani. Li si aiuta con le informazioni a corredo lungo il racconto e con la parafrasi subito dopo. Il dialetto è un tocco di colore co-protagonista. Inoltre, l'uso letterario del siciliano è, credo, quello più sdoganato a livello nazionale. Il pubblico dei lettori contemporanei ha letto Camilleri senza battere ciglio e questo è solo un esempio. Basta guardare quante autrici e autori siciliani (e che fanno anche uso del dialetto) hanno avuto successo con le più prestigiose case editrici e in quanti Paesi sono stati tradotti. Per questo, tornando alla tua domanda, non lo ritengo un limite se utilizzato con criterio e rispetto. Può essere, invece, arricchente.
Come hai scelto le donne di questo libro, perché proprio loro? Ti è dispiaciuto lasciarne fuori qualcuna? Se sì, di chi si tratta?
È stata una selezione attenta e a tratti sofferta. Le donne che ho conosciuto studiando sono state molte e tantissime di loro avevano una vicenda personale avvincente, che avrebbe meritato spazio. Tuttavia, per motivi editoriali, era necessario chiudere o meglio "socchiudere" almeno per adesso il cerchio. Pertanto, ho scelto in base al criterio delle "affinità elettive" quelle nelle quali, eroine o criminali e reiette, comunque ho ritrovato me stessa. Anche in maniera fantasiosa.
Sì, qualcuna è rimasta fuori per non "affollare" troppo lo stesso periodo storico, per esempio. Mi è dispiaciuto non rispondere alla chiamata di più d'una che ha vissuto il proprio tempo tra la fine dell'Ottocento e il Novecento inoltrato. Anche in questo caso dalle rivoluzionarie alle donne del cinema. A livello editoriale avevamo già compiuto una scelta e non volevo trasgredirla, altrimenti avrei potuto scrivere due volumi.
Tra loro c'è una donna in cui ti rispecchi maggiormente?
Nominarne solo alcune o addirittura solo una è una domanda difficilissima. Sarebbe bellissimo invece poterle incontrare e confidarsi liberamente come loro hanno fatto nel libro. 
Da un lato mi piacerebbe incontrare Santa Lucia e cercare di realizzare il suo desiderio o Peppa per raccontarle che dopo la delusione garibaldina di abbagli in politica se ne sono presi molti. Vorrei abbracciare Anna Saragola e sapere se ha trovato pace o trascorrere qualche ora con Anna Maria Scarlatti, la cantante imparruccata e spudoratamente diva. Vedi? È impossibile eleggerne una, davvero. Non solo eroine, ma anche avventuriere, criminali e streghe.
In Costanza rivivo il mio saluto alla Sicilia tutte le volte, di Damarete mi attraggono moltissimo il sua carisma e la sua femminilità. Attraverso ognuna di loro ho compiuto un viaggio di andata e di ritorno. Ho appreso e preso da ogni donna e a ogni donna ho lasciato una parte di me che riconosco quando rileggo il libro.
In Virità, femminile singolare - plurale ci sono donne di ogni età, epoca e ceto sociale. Quanto è stato difficile calarsi nei panni di ognuna di loro? C'è stata qualcuna che non riusciva proprio a farsi scrivere? Se sì, raccontaci di chi si tratta e come hai fatto a "tirarla fuori".
Non è stato semplice, in effetti. Però mi sono divertita molto ad ascoltarle, attraversarle e interpretarle tutte. È stato fondamentale conoscere innanzi tutto il contesto in cui ognuna di loro ha vissuto: dagli scenari agli abiti, agli utensili, ai rumori che potevano circondarle. Dal mercato della Giudecca Suttana della medichessa ebrea Virdimura De Medico, agli zoccoli dei cavalli trasportati dal vento dalla battaglia di Himera fino all'orecchio di Damarete e ancora agli zampilli della Fonte Aretusa. Volevo avere padronanza della realtà in cui furono immerse. Poi da lì ho vestito i panni di ognuna con la sensibilità contemporanea e l'essenza femminile ha abbattuto tutti le barriere temporali.
Uno dei racconti in cui più ho preteso da me stessa e che ho continuato a ritoccare fino alla fine è proprio quello di Santa Lucia. Non solo mi tocca doppiamente il personaggio per devozione e appartenenza geografica, ma perché interpretare il pensiero di una santa è comunque una grande prova di responsabilità.
 
Quando ti chiedono delle condizioni delle donne in Sicilia a cosa pensi? È cambiato qualcosa dai tempo delle protagoniste di Virità? C'è ancora da lavorare?
Il libro non vuole far parlare le donne siciliane solo perché sono state loro quelle costrette a rimanere in silenzio. Si rischierebbe di perpetuare ancora uno stereotipo senza potersene mai liberare. Il silenzio va ben oltre i confini della Sicilia e nessuna regione si salva.
Costanza di Sicilia è una sovrana europea, Damarete di Agrigento è la nuova signora della Magna Grecia, Aretusa è un mito dalla popolarità senza confine, Maria Pizzuto Cammarata è la prima donna a parlare a un congresso di politica a Palermo rappresentando il primo movimento organizzato lei lavoratori siciliani e rappresentava circa mille donne.
È questa la caratura di alcune delle siciliane che si raccontano in Virità. Sono donne coerenti e anche quando nel concreto, nell'epilogo della loro esistenza (come Laura Lanza di Trabia o Cleopatra di Sicilia) possono apparire sconfitte. In realtà non sono mai vinte, ma restano fedeli a loro stesse sempre. E ciò che intendono raccontare non è una denuncia, è una testimonianza di umanità universale, di emozioni, di paure e pulsioni che ognuna di noi avrebbe potuto avere nei momenti più emblematici della nostra vita. 
Per questo il libro è narrazione, è racconto e la causa femminista, se vogliamo, riguarda il libro in seconda battuta. Il volume è uno scrigno che conserva l'intimità delle loro anime, tutto il non detto.
È vero poi che la cultura patriarcale in Sicilia ha avuto radici più tenaci, purtroppo, che hanno iniziato a sciogliersi forse con più ritardo rispetto a un nord più ricco. Tuttavia, è la cultura a generare consapevolezza. Il benessere economico facilita una maggiore diffusione di cultura. In fondo, se ci pensiamo, la cronaca oggi ci informa che la voce delle donne è penalizzata o zittita del tutto, in maniera più o meno violenta, a prescindere dalle latitudini.
Giusy, hai detto che la verità non è mai una, noi però vogliamo sapere della tua personalissima Virità, quella di cui non puoi fare a meno e per cui ti batterai sempre.
Jacques Prévert scriveva in una bellissima poesia "je suis comme je suis/je suis fait comme ça" e io me lo sono tatuato per ricordamelo ogni giorno che devo accettarmi e perdonarmi anche quando le verità fuori e dentro me non mi piacciono. Purché, come le venti donne di Virità, resti fedele a me stessa.
Sappiamo che stai lavorando a un altro libro, cosa puoi svelarci? 
Questa volta si tratta di un romanzo che avevo già iniziato e che adesso ho ripreso. Spero possa trovare presto anch'esso una casa editrice che lo porti alla luce. Cosa posso svelarvi? 
Che non mi allontano mai troppo dalle mie radici.
Siamo un Club del Libro e la lettura è il nostro pane quotidiano, dacci un titolo che non dovremmo proprio perderci.
 
Potrei fare una lista lunghissima dalla letteratura siciliana a quella internazionale! Ma uno che rimane per me un romanzo iconico e denso di una miriade di significati è "Orlando" di Virginia Woolf.
Una domanda che probabilmente nessun altro ti farà... la donna sulla copertina, a sinistra, sei tu oppure ho avuto le allucinazioni? La guardo da quando ho comprato il libro!
Sorrido perché in effetti non sei la prima a notare questa somiglianza, invece! Non l'ho mai chiesto a chi ha realizzato il progetto grafico, ma credo che passare molto tempo al telefono spiegando il senso del progetto da trasporre in immagine, possa aver influito. Adesso comincio a chiedermelo anch'io!
(articolo a cura di Roberta Failla)
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