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È il 1903. Agricoltori, minatori, garzoni provenienti da ogni parte d'Europa intraprendono un lungo viaggio allo scopo di aiutare economicamente le proprie famiglie ma, soprattutto, per trovare fortuna e crearsi un futuro in terra straniera. S'imbarcano in grandi navi stando stipati in terza classe: stretti, scomodi, vicini ai motori che, con i loro rombi fastidiosi, non permettono ad alcun viaggiatore di dormire. In quelle cuccette piccole e anguste non vi alloggiano solo persone adulte: tra giovani e anziani, vi sono anche bambini soli, senza i genitori, che affrontano quello che si chiama "il sogno americano".

L'esodo migratorio non è solo raccontato dalla storia, bensì anche dalla letteratura attraverso delle testimonianze di chi ha vissuto questo grande evento. Ebbene sì, Melania G. Mazzucco, con il suo romanzo Vita, accolto positivamente dalla critica e vincitore del Premio Strega, sbroglia i fili di memorie, riavvolge i nastri di storie raccontate dai parenti Mazzucco, perché è proprio di questo che tratta il romanzo: la famiglia Mazzucco.

Agli occhi del lettore l'opera ha un sapore nostalgico e commovente, narrando le vicende di migliaia di italiani che sbarcano nel porto di Ellis Island, a pochi passi da New York (a quel tempo anche chiamata, Nuova York), non solo con le parole, ma avvalendosi di foto color seppia o in bianco e nero.

L'opera racconta, come già citato, della famiglia Mazzucco, ma si concentra in maniera particolare sui personaggi di Diamante e Vita, due bambini rispettivamente di undici e nove anni che, una volta superati i controlli di Ellis Island e portando con sé solo quei pochi oggetti a loro cari, si ritrovano catapultati in una nuova città dalle case colorate e imponenti grattacieli.

Il personaggio di Diamante viene presentato al lettore come un ragazzo dalla pelle olivastra, mingherlino, il classico ragazzetto del sud nonché nonno dell'autrice, la quale, come si può comprendere da alcuni capitoli che si svolgono ai giorni nostri, racconta del proprio viaggio di lavoro a New York e della lunga ricerca di qualche traccia dei Mazzucco nell'archivio storico americano. Il personaggio di Vita, invece, rimane un epiteto per il lettore, non si sa se sia realmente esistita. L'unica certezza che si ha è che Diamante Mazzucco non ha intrapreso il viaggio oltreoceano da solo.

Durante il soggiorno americano vanno a vivere nella pensione di "Zio Agnello", padre della piccola Vita, a Prince Street in Little Italy. In quella casa un po' malconcia, vivono altri inquilini: come Nicola soprannominato Coca-Cola e fratello di Vita. Quindi ci sono Rocco, un ragazzotto abbastanza corpulento che sogna di diventare ricco, e Geremia, cugino di Diamante.

I due ragazzi, nel corso del romanzo, riescono a trovare lavori umili passando da un mestiere all'altro. Diamante s'improvvisa strillone, raccoglitore di stracci, fattorino in una ditta di pompe funebri, waterboy alle ferrovie, attrezzista per la società di produzione dei western di Broncho Billy, per mantenersi e mandare qualche soldo in Italia. Vita resta nella pensione per aiutare Lena, compagna di Agnello finché, una volta adulta, non lavora come cuoca in un ristorante italiano.

Per i due ragazzi il problema più evidente, fin da subito, è la lingua che nessuno dei due conosce e sa parlare.

<<Gli italiani erano la minoranza etnica più miserabile della città. Più miserabile degli ebrei, dei polacchi, dei rumeni e perfino dei negri. Erano negri che non parlavano nemmeno inglese.>>

Infatti, in un paese come l'America gli emigranti italiani erano malvisti e venivano spesso apostrofati con nomignoli offensivi, e derisi per il fatto di non saper parlare la lingua del luogo. Sulle porte e sulle vetrine dei caffè erano appesi avvisi come: <<NO DOGS NIGGERS ITALIANS>> e altre parole ancora come "greenhorn", ovvero pivellino che non è capace di dire una parola in americano; e ancora "ghini, ghini, gon", che ha il significato di stupido come un gorilla.

In conclusione, Vita è un romanzo storico attualissimo per i tanti italiani che ancora sono costretti a lasciare la propria terra per trovare un impiego, e per le centinaia di stranieri obbligate a reinventarsi, a riformulare il proprio nome, imparare una lingua diversa, mantenere la propria cultura e professare la propria religione in una terra straniera, talvolta ostile, per non dimenticare le radici lontane.

(articolo a cura di Giulia Sposito)

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