Il romanzo Due vite di Emanuele Trevi, vincitore del premio Strega nel 2021, ci permette di fare una riflessione presente sin dai tempi dei latini e ancora oggi attuale: quanto e come ci influenza l'ambiente – inteso non come tipo di famiglia o di società, ma il luogo fisico – in cui viviamo?
Orazio, ad esempio, nella sesta del primo libro delle sue Satire spiega le differenze tra città e campagna. Trevi, trasportando il problema in un mondo nuovo e scattante, prova a delineare le stesse differenze, propendendo chiaramente per una delle alternative:
"So che è un giudizio del tutto irrazionale, ma il desiderio di trasferirsi in campagna, quando non è dettato da qualche inderogabile pratica, mi è sempre sembrato un autolesionismo deleterio. Anche se passo la maggior parte del mio tempo chiuso in casa, ho bisogno di sapere che la città è lì, intorno a me, con il suo infinito groviglio di possibilità e desideri, cattivi odori e bellezze involontarie…"
Ma, come Orazio, anche l'autore di Due vite non ne fa solo una questione di abitudini, ma piuttosto di sentimenti ed insegnamenti. Come cambia una persona nascendo in provincia o in una metropoli? In periferia o al centro? Tra le fabbriche o nel verde? Probabilmente porterà con sé idee diverse, plasmate dal modo di pensare circostante. Odierà il silenzio o non saprà farne a meno, sarà empatico con gli altri o scostante… Sembrano dettagli insignificanti, eppure diventano nostre caratteristiche.
È da dove veniamo a condizionare il posto in cui scegliamo di vivere? In parte sicuramente. Spesso, a seconda di come siamo cresciuti, tendiamo a ricercare nei luoghi del nostro futuro le stesse sensazioni, o magari a fuggirle.
"[…] arrivato in città da un Meridione opaco, per niente solare e tantomeno dionisiaco: un retroterra di grigiore sociale e culturale del quale era possibile portarsi dietro nient'altro che il decoro del contegno e una scienza pessimista e disillusa del cuore umano."
Anche lo scrittore bosniaco Saša Stanišić ha affermato: "Le origini restano un costrutto, una specie di costume che ci viene calcato addosso e che siamo costretti ad indossare per l'eternità." Con una sfumatura tragica di certo più marcata di quella di Trevi, Stanišić non intende nulla di diverso. Nonostante l'indiscussa esistenza del libero arbitrio, sembra esserci qualcosa su cui non abbiamo controllo e quel qualcosa sono proprio le nostre radici.
Sciocco sarebbe negarlo, perciò l'autore di questo romanzo ci spinge ad accettarlo come fanno i protagonisti delle due vite che racconta: Rocco Carbone e Pia Pera, due scrittori scomparsi troppo giovani. Entrambi si immergono in ciò che sono stati per cercare di comprendere cosa saranno, anche se purtroppo non avranno abbastanza tempo per verificarlo.
Questo è ciò che Trevi vuole dire: innegabilmente le nostre origini prendono parte alla creazione della persona che diventiamo e, volenti o nolenti, ci rimangono addosso. Possiamo migliorarci, evolverci, cambiare paesi, lingue e culture, ma in un angolo recondito di noi stessi, per quanto oscurato, ci sarà sempre la nostra versione primordiale, quella con in tasca poche certezze e una foto di famiglia.
(articolo a cura di Sveva Serra)
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