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Penelope alla guerra è il primo romanzo di Oriana Fallaci, pubblicato nel 1962 da Rizzoli. Per scrivere questo libro la Fallaci parte dalla sua vita: una donna italiana che vola a New York per poter scalare le vette più alte attraverso il suo lavoro. La protagonista del romanzo, Giò, è una soggettista e si reca nella grande mela per avvicinarsi ai soggetti che vuole ritrarre, come la stessa autrice fa tra il 1956 e il 1958.

Con questo romanzo si presentò al mondo un nuovo tipo di donna: una donna libera emotivamente, sessualmente, lavorativamente. L'autrice mise molto di sé nella protagonista che è ancora giovane, a tratti inesperta ma sempre decisa e tenace. Durante questo viaggio oltreoceano Giò rivela lati di sé ancora sconosciuti, tirati fuori dalle strade chiassose e illuminate di quartieri incantevoli e orrendi. Un'amica le rivolge queste parole nel corso delle pagine: «Sei ribelle più di quanto tu creda, sei cristiana più di quanto tu voglia, sei romantica più di quanto tu neghi: e perciò sei miscredente nei riguardi di Dio e degli Stati Uniti d'America.» Giò è una Penelope che invece di rimanere a casa a tessere la tela è partita ed è andata in guerra. La guerra in cui si è ritrovata l'ha delusa ma anche sedotta perché nulla vale più della conquista della sua indipendenza.

Un ulteriore aspetto su cui porre l'attenzione è lo sfondo di questa storia, il Paese che la ospita: l'America. Erano anni prosperi quelli durante i quali questa vicenda si svolge: gli anni '50 erano stati soprannominati "l'età dell'oro", periodo di splendore economico e benessere sociale. L'immigrazione dai Paesi europei non era un evento nuovo per la storia, ma tutto si accentuò con la nascita dell'American Dream.

«Sai, Giovanna, ci sono case che toccano il cielo. La sera, se allunghi una mano gratti la pancia alle stelle e se non stai attenta, ti bruci le dita.»

Il sogno americano era la visione, degli stessi americani e ancor di più di chi guardava da lontano, di un Paese in cui con determinazione, duro lavoro, impegno e coraggio chiunque, a dispetto delle proprie origini, avrebbe potuto ottenere la vita desiderata. Si iniziò a vendere un'immagine (alterata) di uno Stato in cui la giustizia e la libertà, dall'alto della sua Statua, proteggevano e favorivano i giusti. La Fallaci in questo libro descrive la meraviglia di trovarsi a New York, la bellezza di una città nuova e stravagante, ma anche la lenta e inevitabile scoperta di una verità diversa da quella che le avevano propinato.

«Imparerai ben presto che la nostra cordialità è difesa, la nostra efficienza è paura, la nostra supercivilizzazione è solo supermeccanizzazione.»

Oggi esiste ancora l'American Dream? Sicuramente non come allora, ma l'America è un sogno ancora per molti. Il giornalista Francesco Bonami sul giornale Il Foglio scrive: «Quando diventi un "americano" diventi parte di un concetto di libertà astratta dentro al quale una cosa come il razzismo è al tempo stesso crimine e libertà di espressione.» È questa la grande contraddizione americana che ha reso il sogno qualcosa di possibile solo se si continua a dormire. Il vecchio proverbio che dice "paese che vai, usanza che trovi" potrebbe essere modificato in "paese che vai, problema che trovi" e no, l'America non è esonerata, non lo è mai stata.


(articolo a cura di Sveva Serra)

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