Giuseppe Galeazzi è un poeta nato a Cupramontana, dove tuttora vive, che ho avuto il piacere di incontrare, conoscere e intervistare facendo volontariato all'interno di una casa di riposo. Autore di poesie intrise di impegno sociale e specchio di una semplicità mai banale, egli ha sempre dedicato la sua penna delicata alla solidarietà, scrivendo poesie anche per sostenere diverse associazioni impegnate nella lotta contro il cancro e a favore delle persone con disabilità. Nei suoi versi ha celebrato la bellezza delle piccole cose della vita, ma anche riflettuto, con toni petrarcheschi, sulla fuga inesorabile del tempo. Oggi, ancora ispirato, continua a plasmare il suo meraviglioso mondo poetico affacciato al suo fedele compagno di avventure, il computer.
Quando è iniziato il suo amore per la scrittura?
È iniziato a tredici anni. Ero a Roma in un istituto per invalidi di guerra e c'era un insegnante che scriveva poesie. Ricordo ancora nitidamente che un giorno aveva lasciato il suo taccuino aperto nello studio e, in preda alla curiosità, andai a leggere ciò che c'era scritto: conteneva una poesia meravigliosa. Rimasi profondamente colpito da quei versi e ricordo che dissi a me stesso: «Voglio provarci anch'io!». Da allora ho cominciato a scrivere e ad oggi sono circa sessant'anni che coltivo questo amore.
Cos'è, per lei, la poesia?
Penso che la poesia sia come una grandissima sfera di cristallo che contiene tutte le mie emozioni.
Un poeta francese ha scritto che "un uomo non può scrivere bene se non è anche un po' un buon lettore.". Quali sono, a questo proposito, i libri più belli che ha letto?
Ho amato tantissimo la Divina Commedia di Dante, ma anche le poesie del mio caro conterraneo Leopardi. Entrambi mi hanno inevitabilmente influenzato. Ho letto, poi, con molto piacere anche i libri di Oriana Fallaci e Accabadora di Michela Murgia.
Qual è la sua idea di felicità?
Se penso alla felicità penso a quella dell'anima. Vorrei semplicemente che le persone sorridessero ogni giorno.
«Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito… perché la lettura è una immortalità all'indietro». Che ne pensa di questa frase di Umberto Eco?
È bellissima e la condivido totalmente. Per me la lettura è un prolungamento della vita terrena e l'estasi dei nostri sensi.
Nella società in cui viviamo c'è ancora, secondo lei, spazio per la poesia?
Assolutamente sì. Anche se molte persone la considerano, talvolta, una cosa sciocca o inutile, penso - e spero - che essa non finirà mai.
Che consigli darebbe, oggi, a un giovane ragazzo?
Il mio consiglio è quello di leggere il più possibile, perché la lettura, allenando la capacità di giudizio, può salvare la mente.
Per concludere, qual è la sua poesia alla quale è più legato? Vorrebbe condividerla e commentarla con tutti i lettori del sito?
"Se vuoi raggiungere
la porta dell'amore
devi varcare
la soglia del dolore"
È una poesia che ho scritto tanto tempo fa, ma che rileggo sempre con tanto piacere. Parla di sofferenza, ma anche di amore. Ciò che mi ha portato a scriverla è il fatto che penso che per capire davvero le persone e donare loro tutto l'amore possibile è necessario entrare in un luogo di sofferenza e vivere il dolore nel modo più intenso possibile, varcando, quindi, la sua "soglia". Solo così, secondo me, si può comprendere se si è davvero innamorati dell'umanità e pronti a mettersi al servizio di essa. Rileggendola oggi penso anche al lavoro prezioso che fanno gli infermieri e gli operatori socio-sanitari all'interno della casa di riposo in cui mi trovo.
(articolo a cura di Michael Hamdi)
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