
Il 3 giugno ricorre il centenario dalla morte Franz Kafka e quale occasione migliore per ricordare uno degli autori più influenti di tutta la letteratura novecentesca. La nostra Community ha scelto di leggere Lettera al padre all'interno del percorso "Ricorrenze", volto alla riscoperta di autori e autrici da non dimenticare.
Per comprendere Kafka è innanzitutto essenziale conoscerne la figura quale uomo, individuo tormentato, che della scrittura fece il proprio sfogo e la propria tortura. Le sue opere sembrano non essere destinate al grande pubblico, sono personali, quasi private. Kafka getta tutto se stesso all'interno dei suoi scritti: perciò Samsa possiede il medesimo numero di lettere di "Kafka"; i protagonisti de Il processo e Il castello sono nominati tramite la sola K.
Ciò non stupisce se si pensa a come Kafka scriveva nei propri diari "d'essere fatto di letteratura" e che quindi la dimensione letteraria fosse da lui imprescindibile. Questo rapporto viscerale rende allora anche più comprensibile la volontà dello scrittore, in punto di morte, che tutta la sua produzione inedita venisse cancellata "senza eccezioni". Kafka esprime più volte, sia nelle Lettere che nei Diari, un tormentoso sentimento di vergogna per se stesso, un senso di inadeguatezza incolmabile, per colpa del quale non si perdonò mai d'esser nato.
Non può non tornare alla mente, allora, il notissimo passo nel quale l'autore rivela d'aver trascorso la sua intera esistenza resistendo all'impulso di porle fine.
Kafka morì all'alba dei quarant'anni, in seguito alle terribili conseguenze che la tubercolosi, da cui era affetto ormai da qualche tempo, aveva avuto sul suo organismo. Trascorse gli ultimi giorni senza poter proferire parola; morì d'inedia, causa il dolore eccessivo che la deglutizione gli comportava. Impossibile non ravvedere, nella fine tragica di Kafka, un'impressionante rassomiglianza con la morte che colse uno dei suoi personaggi più celebri, Gregor Samsa. Anche lui, infatti, morì per colpa della malnutrizione, fu maledetto dalla trasformazione in un gigantesco insetto, che lo rese emblema perfetto di quel concetto carissimo agli intellettuali del Novecento che è l'incomunicabilità.
La morte di Kafka pare fornire la conferma definitiva alla concezione che egli aveva della vita e che esplicò perfettamente ne Il processo: l'autore si sentì d'improvviso gettato nel mondo, un mondo ostile, dominato da forze oscure e insensate, contro le quali l'uomo, inerte, non può nulla. L'uomo nell'immaginario kafkiano è condannato a una discesa vertiginosa, che non potrà concludersi che con la sua morte. L'impotenza dell'essere umano nell'opporsi al flusso di queste potenze oscure è reso anche nei romanzi Il castello e America, dove l'agrimensore K. ed il giovane Karl Rossmann vedono naufragare ogni loro tentativo di ribellarsi a un fallimento, se si conosce la produzione kafkiana, certo fin dal principio. Non esiste di fatto protagonista che negli scritti di Kafka sia in grado di salvarsi, di "uscire" dal caotico susseguirsi di dinamiche che lo conducono alla sconfitta.
Tratto peculiare dello stile di Kafka è il caos, nel leggere le sue opere veniamo continuamente trascinati e sbattuti da una parte e dall'altra assieme ai protagonisti della vicenda. Eccezione in tal senso è solo La metamorfosi. Tuttavia l'autore non permette mai che il lettore si perda all'interno dei suoi scritti, la descrizione degli ambienti nei quali ha luogo l'evento narrato è sempre limpida, la realizzazione della scena è tale da conferirle un'immediatezza quasi visiva.
Limpida è allo stesso modo l'analisi lucidissima che Kafka propone della realtà del primo Novecento. Mai dimenticare che oltre a essere stato un brillante scrittore fosse anche un attentissimo osservatore del suo tempo. E perciò nei suoi scritti ritroviamo i temi centrali dell'alienazione, dell'indifferenza, della complessità e incomprensibilità della macchina burocratica (Kafka si laureò in Giurisprudenza e lavorò gran parte della sua vita per l'Istituto di Assicurazioni contro gli infortuni del Regno di Boemia), del difficile rapporto con la figura paterna (a cui scrisse la famosa Lettera al padre, mai spedita al genitore e pubblicata postuma), che egli vide sempre distante e dalla quale si sentì sempre tremendamente sopraffatto. In questo modo Kafka si inserisce tra quegli scrittori figli della società di massa, dai quali tuttavia riesce ancora una volta ad allontanarsi, grazie a un malessere esistenziale che lo perseguitò senza tregua, che lo immerse in una solitudine tale da convincerlo d'essere stato "escluso dalla vita".
(articolo a cura di Bianca Solari)
Se vuoi collaborare con la Rubrica Letteraria del Club del Libro, segnalarci iniziative interessanti o semplicemente comunicare con noi, scrivici a: