Una boccata d'aria, che la nostra Community sta leggendo nell'ambito del percorso Ricorrenze, è una delle opere meno conosciute di George Orwell ma anche quella che venne accolta più calorosamente quando fu pubblicata nel 1939. Orwell, dopo aver combattuto nella guerra civile spagnola, si stabilì nel Marocco francese (insieme alla moglie) dove scrisse questo libro. Il protagonista è George Bowling, anonimo quarantacinquenne, che nel tentativo di recuperare la serenità della gioventù torna nel luogo nel quale è cresciuto, Lower Binfield.
Lo scrittore britannico non si tira indietro nemmeno stavolta e anche con quest'opera si preoccupa di dire la sua opinione sulla società: critica il capitalismo e la "marcia del progresso" che sta portando a devastazioni come le guerre (e non solo). Con un tono pessimista ma ironico, Orwell attraverso il suo personaggio si avventura in un "viaggio della memoria" che si rivelerà drammatico quanto il presente. In questo caso infatti centrale è l'interiorità di George che, pur di sfuggire alla soffocante realtà delle cose, come ultima risorsa decide di tornare indietro (sia geograficamente ma soprattutto metaforicamente) per prendere una boccata d'aria. Ma può davvero il passato essere una boccata d'aria?
Innanzitutto George trova cambiato, nella maggior parte dei casi peggiorato, il suo "nido". Lo stagno dove pescava da giovane infatti adesso è una discarica di rifiuti. Sta qui la prima grande frattura: non ritrovare più gli stessi edifici, la stessa disposizione, la stessa estetica nel posto in cui si è nati è una prova incontrovertibile che il tempo è passato e non c'è più niente da fare. La seconda frattura, che si sviluppa più lentamente ma è altrettanto letale, avviene a livello emotivo. George capisce che non ha alcuna possibilità di essere felice se non vede futuro, se non accetta il cambiamento perché il passato non ha più opportunità da offrirgli.
«Mi colpì l'idea che molte delle persone che vediamo camminare sono morte. [...] Forse si muore veramente quando il cervello si ferma, quando si perde il potere di assorbire nuove idee. Porteous è un caso del genere. Straordinariamente colto, dotato di straordinario buon gusto, ma incapace di cambiare. Dice e pensa sempre le stesse cose. Ce n'è un sacco di gente come lui. Cervelli spenti, bloccati dentro. Non fanno che andare avanti e indietro sullo stesso piccolo binario, sempre più irreali, come fantasmi.»
Quello che George Orwell realizza è un tuffo nella nostalgia, nostalgia di tempi migliori che vorremmo a tutti i costi recuperare quando il presente si rivela non essere all'altezza dei nostri desideri. Quei tempi però ormai non sono più nostri, sono tempi in cui la persona che siamo diventati non può più rientrare e anche se lo facesse non vivrebbe più con la stessa intensità nulla di ciò che è stato. "Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo". Eraclito lo aveva capito per primo e ha provato a dircelo. Quel fiume può essere il passato quanto ogni istante successivo a quello che stiamo vivendo ora. Il cambiamento è una costante nelle nostre vite anche quando non ce ne accorgiamo e combatterlo significa rimanere fermi. Per qualcuno riuscire a rimanere fermi è forse una vittoria ma in realtà questo non significa riuscire a far resistere quella felicità che crediamo di aver conquistato perché nel frattempo anche lei sta cambiando e in un secondo lei corre avanti e noi rimaniamo ancora fermi.
Tra la denuncia alla violenza e le previsioni su una nuova guerra devastante, Orwell incita a guardare avanti perché per quanto l'orizzonte possa essere spaventoso e demoralizzante avanzare è l'unica strada che possiamo percorrere.
(articolo a cura di Sveva Serra)
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