Ieri sera ho finito questo stupendo libro che mi costringe a ripetermi: Maupassant è un grande psicologo, bravissimo sia a scavarsi dentro che a riportare i pensieri e le emozioni su carta, è come un minatore che va nel profondo e torna con un diamante splendende che ci illumina l'animo. E lo fa narrandoci una storia che in fin dei conti non ha azione.
Giorgia hai detto che il tema è la gelosia tra due fratelli, ma non è così. Il libro è la descrizione della presa di coscienza di Pierre prima e di Jean poi di un avvenimento del passato che la madre credeva ormai sepolto per sempre e che invece va a sconvolgere le vite dei tre.
Pierre, il vero protagonista della storia, è invidioso del fratello, ha quella gelosia che i primogeniti hanno nei confronti dei secondogeniti, dovuta al fatto che tutte le attenzioni che erano rivolte al più grande ora sono quantomeno condivise. Mentre Jean è bonario e tranquillo, cerca un’esistenza calma, quasi piatta e senza troppe emozioni, quindi evita i problemi, gira la testa dall’altra parte, temporeggia, procrastina, Pierre i problemi non solo li affronta ma li cerca e se li crea. È turbolento, solitario. Ma soprattutto è egocentrico, vorrebbe che il mondo gravitasse attorno a lui ed è per questo che vede tanti complotti nei suoi confronti, si sente escluso, la felicità altrui gli fa tanta rabbia.
Jean non vuole pensare male per vivere bene, Pierre non può non pensare male degli altri perché proietta su di loro la sua scontentezza. Il primo è un illuso, il secondo un infelice. Se i due fratelli fossero delle fasi della vita umana, Jean sarebbe un bambino, che vorrebbe vivere in un mondo di sola gioia, e Pierre un adolescente, che allontana tutti per poi sentirsi solo ed è in guerra con un mondo che trova menzognero. Infatti, Jean non affronta davvero il problema, lo liquida in poche battute senza pensarci troppo, mentre Pierre finisce per fuggire. Nessuno dei due reagisce in maniera matura, adulta, ossia affrontando la questione in tutta la sua complessità per poi accettarla e andare avanti. Ed è la trama stessa a mostrarci il modo infantile in cui il problema (non) viene risolto: Maupassant fa allontanare ciò che mantiene in vita il conflitto, ossia Pierre, senza davvero affrontare questo conflitto per risolverlo.
Ogni personaggio ha le sue peculiarità, in cui tutti noi credo possiamo più o meno ritrovarci. Il tratto che li accomuna tutti, è l’egoismo. Ognuno guarda al proprio interesse, e si fa i ragionamenti più contorti per poter giustificare le proprie azioni, per inquadrare razionalmente comportamenti impulsivi. Maupassant ci dice che siamo guidati dalle nostre emozioni, la nostra ragione non può che assecondarle trovando delle ragioni per giustificarle. La responsabilità non è mai nostra, la colpa è sempre degli altri. Roland mette la testa sotto la sabbia e non vede tutto ciò che gli capita attorno, basta che riesca a godersi la vita e ben venga la ricchezza del figlio, Pierre, nonostante i dubbi e i rimorsi, non riesce a non ferire madre e fratello, che se è infelice lui devono esserlo anche loro, Jean ha un minimo dubbio ma poi finisce per prendersi tutto ciò che desidera: eredità, madre e moglie, la signora Roland arriva ad incolpare la volgarità del padre per giustificare il suo tradimento.
Infine, mi è piaciuto tantissimo il rapporto tra l’ambiente e i personaggi. Maupassant proietta le emozioni dei personaggi in ciò che li circonda (anticipando così di qualche anno il movimento pittorico del Fauvismo): Pierre ha un’illuminazione e vede il firmamento, ha i dubbi ed è nella nebbia più fitta, riemerge un recondito ricordo di Marechal e squilla la terribile sirena del molo. E così via, per tutto il libro, in maniera bellissima.
Basta, ho scritto un papiro lungo e noioso, ma questo libro ha così tanto da dire che potrei parlarne per giorni!