mulaky ha scritto: Sto pensando che un po’ tutte le frasi abbiano sempre un briciolo di “soggettività”, sai? Cioè o a dirle o a interpretarle, vuoi o non vuoi bisogna sempre fare i conti con se stessi (idee, storia personale, condizione economica e sociale, istruzione, ecc.).
Giorgia, questo è un ottimo assist per completare la nostra conversazione sul primo capitolo del libro, quindi lo sfrutto!
Già nei paragrafi precedenti Bruno aveva spiegato che "
in una discussione, lo scopo di posizionarsi è praticamente sempre presente". E aggiunge: "
Diciamo costantemente chi siamo e dove siamo anche quando stiamo sostenendo qualcosa che apparentemente ha un significato al di fuori di noi".
Quindi è possibile che, pur sforzandoci di creare esempi utili a questo nostro dibattito/studio, ciascuno di noi li abbia letti con sfumature anche lievemente diverse.
Anche se stiamo cercando di contribuire, non possiamo pensare di essere automi senza emozioni distaccati completamente da quello di cui stiamo parlando (abbiamo visto che gli scopi si presentano misti tra loro e sappiamo che quello posizionante, anche latente, c'è sempre).
Mi piace molto la conclusione che traccia Mastroianni nell'ultima parte del primo capitolo, quando racconta di Aristotele e della sua convinzione che non sia conveniente discutere con tutti perché a farlo con certe persone gli argomenti diventano scadenti.
Qui Mastroianni fa entrare in scena un personaggio che non conoscevo ma che da una rapida ricerca su Internet ho scoperto in realtà essere molto famoso: quello che lui chiama il
Piccione Aristotelico!
Il concetto è chiaro ma si basa su un'idea molto lontana dalla realtà: ovvero che dovremmo discutere soltanto in presenza di argomentazioni oggettive (A1) e scopi di contribuire (S1). Quindi, dice Bruno, nel 90% dei casi probabilmente dovremmo rinunciare ad entrare nella discussione
Ci vuole dunque un criterio diverso per decidere, sulla base di quanto abbiamo appreso fino ad ora, quando conviene entrare in discussione e quando invece non ne vale la pena, tenendo però sempre presente che le discussioni on line e offline non sono partite a scacchi, non ci sono regole a cui tutti devono attenersi, non sono discussioni a due ma coinvolgono più persone, comprese quelle che leggono senza intervenire e che discutendo dovremmo prestare maggiore attenzione agli esiti sulle relazioni tra le persone coinvolte (ivi comprese quelle che non scrivono e leggono soltanto) più che alla nostra vittoria sull'altro, che sarebbe fine a sé stessa.
Un'analisi costi/benefici per ogni possibile discussione a cui prendere parte non è un'ipotesi realistica dice Bruno, anche se ci sono studiosi che stanno analizzando questa idea provando a costruire un modello che sia universalmente applicabile (se siete interessati, il buon Bruno è sempre prodigo di note a piè di pagina e quindi potreste approfondire l'argomento leggendovi lo studio di cui parla).
E qui arriviamo finalmente al dunque del
Mastropensiero
"
Quello che invece si può fare è decidere come agire in prima persona coltivando il bene potenziale per sé stessi e per gli altri nel procedere o meno nel confronto. Un criterio non di controllo, ma di apertura alla virtù del ben disputare: una discussione sarà da condurre fino a che almeno potenzialmente potrà produrre un certo bene per chi è coinvolto [...] Questo bene sarà ispirato al criterio del piccione aristotelico, ma in un senso più indulgente" e quindi, ecco la famosa matrice che si compone dei consigli su quando discutere o quando non farlo! Il Santo Graal della comunicazione che tutti stavamo attendendo da pagine di topic e che finalmente si palesa
Se ci trovassimo a dover decidere se intervenire o meno in una discussione in cui rilevassimo la presenza di queste combinazioni di argomentazioni e scopi: A1 + S1, A2 + S1, A3 + S1, ovvero
qualora rilevassimo nell'altro lo scopo di contribuire, Bruno consiglia di accettare di discuterne
indipendentemente dall'argomentazione.
Consiglia di prendere parte alla discussione anche nei casi A1 + S2 e A1 + S3 perché l'
argomentazione oggettiva, anche se espressa con scopi di posizionamento o addirittura, in casi estremi, con scopi di disturbo, secondo lui
merita comunque di essere discussa.
Invece nei casi A2 + S2, A2 + S3, A3 + S2 e A3 + S3, il consiglio è quello di
non entrare nella discussione, di lasciar cadere perché in questi casi
non si può produrre alcun vero bene nella discussione sul piano del contenuto né su quello della relazione.
Riassumendo, se riconosciamo almeno uno scopo di contribuire e/o almeno una questione oggettiva (anche mescolate con altro), Bruno consiglia di dare seguito alla discussione.
Se invece troviamo solo posizionamenti, disturbi, questioni soggettive e parolacce, non dovremmo farlo.
Io sono d'accordo, anche se personalmente faccio davvero molta fatica a relazionarmi con chi, pur affrontando argomentazioni oggettive, lo fa con lo scopo di disturbare. Però in linea generale comprendo il concetto che sta dietro a questi suggerimenti e lo condivido.
Mi piace molto quando dice: "
coltivando il bene potenziale per sé stessi e per gli altri nel procedere o meno nel confronto" considerandola "
apertura alla virtù del ben disputare".
In effetti mi pare un assunto che, se rispettato, sarebbe una buona base per avviare una discussione proficua. Ovviamente non possiamo costringere gli altri ad agire analogamente ma possiamo impegnarci singolarmente nel farlo.
E voi? Cosa ne pensate?