guidocx84 ha scritto:
Novel67 ha scritto: è come se le pagine del libro soffrissero della stessa mancanza di reciprocità sociale ed emotiva che caratterizza il protagonista: trasmettono le informazioni, ma bloccano le emozioni.
Lore e se fosse proprio questa la chiave? Se fosse stato questo l'intento dell'autore? Perché anche io leggendolo ho provato qualcosa di simile a quanto riferisci ma ho pensato che fosse voluto. E' come se l'autore ci mettesse a tu per tu con Christopher facendoci parlare con lui... che ne pensi? E' una bischerata? 
No, non è una bischerata

. Penso invece - come Kira e Bibi - che tu abbia assolutamente ragione.
Ma l’intervista cui fa riferimento Kira l’ho letta anch’io. Haddon, peraltro, afferma:
“non volevo scrivere un libro sulla Sindrome di Asperger. Più modestamente, forse, ho cercato solo di scrivere una prima pagina che catturasse i lettori e li facesse andare avanti con piacere … Ho lavorato con persone con disagi mentali, è vero. Ma molti si sorprendono quando dico che della Sindrome di Asperger so davvero molto poco. La cosa più importante per rendere Christopher vivo non era renderlo medicamente plausibile, ma farne un essere umano credibile”.
Ora: è credibile un personaggio affetto da un complesso disturbo a noi quasi ignoto e di cui l’autore stesso ammette di saperne “molto poco”? E’ lecito dubitarne, credo. A meno che una ricerca su Wikipedia non basti a renderci esperti. Ho dunque il sospetto che vi sia qualche artificio di troppo, nello stile e nella trama, come se il romanzo fosse stato più “costruito” che sentito.
Da qui – più che da una lettura secondo un “diverso” punto di vista - la mancanza di emozioni, coinvolgimento e di partecipazione di cui dicevo. E da qui le reazioni contrastanti dei lettori: ci si può intenerire, ma pure spazientire.
Il fatto è che la lettura di questo libro fornisce una chiave sin troppo semplicistica per comprendere Christopher: qualche disegnino, qualche formula matematica, qualche colore opportunamente associato, ed ecco spiegato l’arcano. E così il meccanismo che regola le sue azioni diviene talmente scoperto che siamo poi in grado persino di prevedere le sue reazioni più eclatanti. Ma in realtà non siamo noi ad aver cambiato prospettiva: è Christopher che è stato opportunamente modellato sul nostro modo di ragionare. Per questo ritengo assai meglio tratteggiati i genitori e la gente comune che nel libro restano costantemente interdetti e spiazzati, tanto da non fare o dire mai ciò che riterremmo più giusto: cosa che però succederebbe anche a noi – credo – se posti di fronte al problema reale.
Per concludere, copio e incollo un interessante commento trovato in rete e che mi sento di condividere:
Che cosa manca perché questo romanzo sia il grande romanzo che le quarte di copertina predicano? La credibilità - non dico la credibilità empirica, ma la credibilità artistica. L'impressione finale è questa: che l'autore si sia dato tutta una serie di ostacoli e di difficoltà e che il suo lavoro sia consistito principalmente nel superarli. La storia, in effetti, sarebbe di scarso o nullo interesse se il protagonista non fosse un bambino carenziato. Per uno come Christopher anche attraversare la strada può essere un'impresa. Così, molte descrizioni, oggettivamente noiose, ci stanno solo perché non possiamo credere che un ragazzino autistico si muova nello spazio e nel tempo come un qualsiasi ragazzino normale della sua età. Il romanzo allora è un romanzo sull'autismo? Neanche questo. Il romanzo usa l'autismo per essere più romanzesco - ma alla fine non ci riesce. Non si esce dall'orizzonte di Christopher e la cosa assurda è che questo orizzonte è, alla fine, il solo che l'autore ci spacci per buono.
Anche questo mi sembra un buon punto di vista, no?