bibbagood ha scritto: Invece qua mi sembra il messaggio sia più che altro il voler raccontare con occhi esterni un fatto "di cronaca" e che non si ha intenzione di dare una risposta alla domanda "perchè?". In questo senso, la narrazion tramite la comunità civica di cui parlava Francesco non so se sia la più adatta, perchè creare solo più distacco (@Guido: il narratore sono i vicini di casa della famiglia, è una voce narrante che parla a nome del vicinato e trasmette le loro impressioni).
Prendo spunto da questa osservazione, che mi trova in disaccordo  

  , per un commento finale, sebbene sia forse più facile spiegare perché questo libro potrebbe non piacere, piuttosto del perché invece è piaciuto.
Sono altresì consapevole che il riferimento ai gusti e/o alle sensibilità differenti di ciascuno di noi resti assolutamente valido, ma che sia anche una giustificazione parziale e piuttosto riduttiva. E invece a me il libro è piaciuto non solo per come racconta, ma anche per quel che racconta.
Come però dicevo in un precedente post, per affermare ciò occorre un mutamento di prospettiva.
Tutti noi, leggendo, siamo infatti naturalmente portati - sin dal titolo - a domandarci una cosa soltanto: perché le ragazze si sono suicidate? Ma la risposta - anzi, più d’una - il libro in verità la fornisce: colpa di un ambiente familiare oppressivo; colpa di un malsano spirito d’emulazione; colpa del contesto storico; colpa di una predisposizione genetica; colpa di un insensibile e crudele egocentrismo …
Ogni tesi ha un fondo di verità incontestabile: eppure nessuna di esse ci soddisfa, perché l’autore le riporta tutte come spiegazioni plausibili, ma senza sposarne mai una in maniera chiara e univoca. Sicché ne deduciamo che la questione è irrisolta, la vicenda piatta e il libro inconcludente.
Secondo me, però, siamo andati a cercare il mistero là dove mistero non c’è, mentre abbiamo dato per scontato ciò che così scontato non è. Riprendo allora ciò che già avevo scritto in apertura di discussione: “l’attenzione andrebbe focalizzata non solo sulle protagoniste, che sin dal titolo tendono a rubare un po’ la scena, ma anche su chi rimane sullo sfondo”.
Chi è la voce narrante? La definizione “comunità civica”, per quanto formalmente corretta, è anche troppo estesa, generica e a mio parere fuorviante. Sì, è vero, il libro raccoglie le voci di tutti: amici, genitori, compagni di scuola, fidanzatini, dottori, insegnanti, opinionisti vari e gente comune.
Ma chi davvero cerca di rimettere insieme i pezzi, pur rientrando in una delle suddette categorie, compone una cerchia più intima e ristretta, la cui voce – diversamente dalle altre – non si limita a rievocare un fatto di cronaca, su cui poi dare un'opinione, ma è invece espressione d’un’autentica e profonda sofferenza.
Non è un investigatore curioso, né un semplice conoscente. Non è nemmeno un parente. Eppure, a distanza di anni, egli solo custodisce ancora ricordi e reliquie che nessun altro coltiva o s’è preoccupato di raccogliere, di cui la sua stessa vita è intrisa e di cui non vuole e non può liberarsi.
E’ un ragazzino ormai cresciuto, invecchiato, disilluso, ancorato al passato. Qualcuno che non è mai riuscito a colmare il vuoto di una perdita. E non mi riferisco tanto alla perdita di una persona cara (che al di là dell’aura mitica di cui è stata rivestita, è rimasta sostanzialmente sconosciuta), quanto di un’età, cui la persona scomparsa è indissolubilmente legata. Un’età fatta di grandi sogni, di possibilità infinite, di sentimenti purissimi e di amori assoluti.
Ecco: io penso che questo romanzo sia una riflessione sincera, malinconica e amara sull’adolescenza e - più in generale - sul tempo che passa, malgrado lo si voglia tener stretto; sui ricordi che sbiadiscono, sui sogni incompiuti, sulle speranze deluse, sui sentimenti feriti e sugli amori spezzati. E su una fine sempre incombente (le crisope schiacciate, la casa che marcisce, gli alberi abbattuti, la neve che più non cade, i reperti che si sgretolano …)
E’ una riflessione che a mio avviso, sfogliando le pagine e confrontando la propria esperienza, si può arrivare a sentire e condividere. A patto di non farne un argomento tabù, come gli adulti del libro, o di placare la propria ansia con le spiegazioni degli “esperti”, uniformando le sensazioni al rapporto causa/effetto che regola i fatti.
Ma per quanto comuni, si tratta pur sempre di sensazioni soggettive, per le quali va atteso il momento giusto. Per me lo è stato: quella di Eugenides, infatti, la ritengo già una delle migliori letture dell’anno. Per questo, adeguandomi allo stile, mi astengo dall’assegnare un voto alla lettura. Ma per quanto confuse e nebulose siano state queste osservazioni, spero si capisca  

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