Riflessione a fine libro.
Come già accennato in più commenti, l’autrice crea un gran mistero, facendo mini anticipazioni che poi andrà a risolvere molto avanti. Non lo fa solo con la festa di compleanno, ma lo fa quasi sempre: i conflitti interpersonali, l’omosessualità di Martin, l’egocentrismo di Ben, perfino l’incidente in macchina è anticipato con un brevissimo flash prima che la storia ci vada a sbattere. Io credo che abbia abusato di questo trucchetto, di questa suspense creata “artificialmente”, stimolando all’eccesso la nostra curiosità.
Non solo, quando si arriva al party, e soprattutto quando si è nella stanza dove succede il misfatto, la narrazione si fa molto più prolissa. Come ha fatto notare Vanna, allunga la storia all’inverosimile, come fosse una mozzarella filante. Anche qui, cerca di tenere il lettore incollato posticipando la rivelazione.
Tutta questa “attenzione” al lettore mi ha fatto pensare che l’autrice sia un po’ come Lucy: insicura di sé, cerca una soluzione che piaccia al lettore, sacrificando così se stessa, ossia la storia, che è un po’ vuotina, non succede gran che.
Eppure il libro era partito bene, la caratterizzazione dei personaggi non era male. Mi è piaciuto l'aver mostrato come le persone si adattino al proprio interlocutore, come spesso non ci rendiamo conto di comportamenti che agli altri sono evidenti (esemplare è la vicenda delle scarpe rosa: si veda come l’ha descritta Martin e come l’ha descritta Lucy). E’ la storia che pian piano diventa inconsistente. Quel che accade nella festa dal momento in cui Martin si allontana da Lucy è inverosimile ed è tutto un rincorrere, un dover risolvere palesemente tutti i sottintesi delle 250 pagine precedenti: l’omosessualità di Martin, la sua sottomissione a Ben (il momento in cui si inginocchia piangendo è troppo assurdo), lo sfruttamento che Ben fa di Martin, l’esplosione di Lucy, la fine di un matrimonio. Tutto in pochi minuti. Questo è stato un grande errore, se si vuole sottintendere, che si lasci sottinteso, di modo che sia il lettore ad arrivarci: per questo la vicenda col cameriere stona così tanto.
Sul finale sono d’accordo con Paul e Bea: ha lasciato anche me deluso. Soprattutto per quanto riguarda la critica sociale, ossia i soliti cliché sui potenti che sono al di sopra della legge e sull’uomo comune (la borghesia) che desidera essere come i ricchi (l’aristocrazia), non può soddisfare tale desiderio, e quindi si chiude in un vendicativo rancore.
Anche lo stile, che era molto ricercato quando a inizio libro “parlava” Martin, si è pian piano normalizzato, come ha fatto notare Bea. Segno forse che l’autrice ha messo molto impegno nella prima parte, tirando via invece la seconda metà del libro?