Salve a tutti, ho ascoltato il libro e poi, poiché sono curiosa, sono andata a cercare i dati biografici di Daniel Keyes. Questo signore, oltre che Psicologo, era anche laureato in Letteratura anglo-americana, ha insegnato a lungo ai ragazzi con difficoltà di apprendimento e in seguito si è dedicato allo studio del disturbo dissociativo di personalità. Con questi presupposti, come poteva il suo libro più famoso non essere un'opera profonda ed anche coinvolgente?
Ovviamente tutto questo non basterebbe se l'autore non ci avesse fatto quasi entrare nella storia del protagonista perché egli (Charlie) ci parla in prima persona, ci fa vivere la sua esperienza passo per passo, ci risveglia emozioni e interrogativi personali. Per me sono stati molti i punti di riflessione.
Innanzitutto mi fa un po' tenerezza pensare al clima culturale di quell'epoca, quando ci si interrogava sul significato dell'intelligenza ma anche della natura umana, e si facevano esperimenti oggi impensabili come l'esperimento di condizionare un bambino di nome Arthur ad avere paura di un coniglio, e pochi anni più tardi si mettevano in prigione dei soggetti volontari con diversi compiti di guardie e prigionieri per studiare l'identificazione con il ruolo, l'obbedienza, la crudeltà. Erano i tempi della sperimentazione con poche regole e pochi divieti, pratiche poco rispettose ma anche (a posteriori) estremamente interessanti.
Per questo motivo operare e condizionare un giovane uomo disabile psichico era considerata una cosa possibile eticamente.
E torniamo a Charlie. Gli avevano aumentato le connessioni cerebrali, gli avevano fornito enzimi utili per il metabolismo cerebrale, gli avevano praticato l'ipnosi per fargli apprendere migliaia di nozioni durante il sonno. Ma che bravi. Nessuno forse aveva colto un dettaglio: c'è l'apprendimento nozionistico ma c'è l'apprendimento che viene dall'esperienza, e questo apprendimento si radica nel corpo: provate a far finta di picchiare una persona che è stata sottoposta a violenza: senza intenzione consapevole alzerà il braccio per difendersi.
Il piccolo Charlie ha imparato bene cosa non deve fare per evitare le botte: soprattutto il sesso, ma anche lasciarsi andare alle proprie emozioni. Ed ecco che si sente al sicuro solo nel mondo delle nozioni, ne fa una indigestione ma questo non lo rende maturo, saggio, equilibrato.
Come per le violenze, anche per l'amore, il riconoscimento, l'accettazione di sé esiste una memoria profondamente radicata nel corpo, ovvero l'abbraccio, lo sguardo che ti loda e ti dà conferma del tuo valore e della tua importanza, il sorriso della benevolenza. Charlie non ha avuto niente di questo.
Ha il desiderio di migliorare, e devo dire che questo non mi sembra solo finalizzato all'essere accettato dagli altri : il suo slancio per comprendere sempre di più il mondo mi sembra autentico, quasi il volo di un piccolo Icaro che ignora i propri limiti ma cerca la conoscenza e la bellezza.
Quando il volo finirà nel modo che sappiamo, cosa gli resterà? Me lo sono chiesto perché non posso accettare l'idea che lui stesse meglio prima quando, inconsapevole del disprezzo e dello scherno, subiva e sorrideva mitemente e stolidamente.
Secondo me il volo deve pur finire, ma quello che resta è un diverso senso della propria dignità, la consapevolezza implicita di avere, anche nel deficit (di cui alla fine si rende conto), la stessa dignità di ogni essere umano.
E' una cosa che Charlie ora ha imparato dell'esperienza, dalla propria irritazione quando il professore gli rispondeva "Ma questo accadeva prima" e lui si rendeva conto che quel Charlie di "prima" non era considerato un essere umano. Oppure l'ha imparato dalla propria rabbia, quando ha difeso il ragazzo schernito e sbeffeggiato come prima accadeva a lui.
Si è indignato, si è ribellato perché ha compreso qualcosa di nuovo: che non è giusto disumanizzare qualcuno. E mi sembra di capire che questa comprensione gli sia rimasta fino alla fine.
E in fondo, aggiungo io, è proprio dall'operazione del disumanizzare che si arriva a discriminare, ad abusare e a torturare.
Per questo, di tutto il libro, mi rimane soprattutto questo senso - non dico di happy end - ma di un piccolo passo avanti nella vicenda umana che il libro ci racconta.
Grazie per avermelo fatto conoscere.