La risposta ovvia, soprattutto in un Club del libro, è “Ma certooo”. Tuttavia più di una volta qui sul forum si è sottolineato come questo dettaglio spesso non venga considerato, anche tra accaniti lettori come noi. Tutti risponderemmo sì, ma dobbiamo ammettere che se non ci fosse Pierbusa a proporci per ogni Libro del mese/Maratona/Lettura condivisa (insomma, ogni volta che gliene diamo la possibilità

) un bombardamento di informazioni sulle differenti traduzioni da edizione a edizione, difficilmente ci saremmo soffermati a pensarci. E siamo sinceri, a parte qualche traduttore che magari conosciamo perché ha tradotto tutte le opere del nostro autore preferito, quanti nomi di traduttori conosciamo (Pierbusa, la domanda NON è rivolta a te

)?
Io non ho mai tenuto molto in considerazione l’importanza del traduttore, forse perché ne sento parlare troppo, ma ancor di più perché sono una di quei lettori che “legge a blocchi” e non “legge le parole” (pare ci siano vere teorie su queste due diverse tipologie di lettori

). Quindi vengo di solito molto più presa dalla trama. Anche perché per deformazione professionale e puntigliosità ogni volta che mi soffermo su alcune espressioni provo a immaginare come dovesse essere l’originale per far sì che il traduttore abbia scelto proprio quel termine o quella costruzione (e quando mi soffermo su questo dettaglio è perché il 99,9% delle volte penso “in originale sarà stato sicuramente così, come cavolo gli è venuto in mente di tradurlo cosi male??”). Anche perché sono convinta che sia l’autore ad avere avuto l’idea, il traduttore veicola ed ha un lavoro più semplice.
Nonostante ciò, so che per essere traduttore letterario bisogna possedere una creatività altrettanto forte, anzi, forse anche maggiore rispetto a quella di uno scrittore, perché bisogna essere in grado di allontanarsi dal testo di partenza per far sì che il testo di arrivo possa essere accolto da un altro pubblico, diverso da quello per cui è stata scritta l´opera, e spesso è difficile non cadere in traduzioni troppo letterali e di conseguenza prive di significato.
Inoltre, una cosa che mi urta abbastanza è quando si citano frasi in traduzione. Se si parla di trama, allora secondo me va bene dare “la fama” solo all’autore e rilegare il nome del traduttore in mezzo all’’ISBN e all’’indirizzo della casa editrice, ma se si vuole riportare una frase che ci ha colpito secondo me la cosa cambia. Perché quella frase ci ha colpito per la scelta lessicale e la struttura sintattica, per la punteggiatura (che al 99% dei casi si discosta anch’essa dall’originale): insomma, quello che ci ha colpito sono le scelte fatte unicamente dal traduttore. Quindi credo avrebbe più senso riportare la frase in originale e magari tra parentesi la traduzione, senza bisogno di citare il nome del traduttore, ma semplicemente per sottolineare che quella frase specifica non l’ha scritta l’autore cui l’’attribuiamo (ovviamente non mi riferisco a quando citiamo pezzi dei libri che leggiamo qui!).
Insomma, secondo me la domanda non riesce ad essere liquidata così facilmente. Anche perché, se pensiamo veramente che la traduzione sia fondamentale, perché non ne parliamo mai e ogni volta tra i commenti si legge “il libro scorre che è un piacere”, “lo stile è pesante”, “il discorso è difficile da seguire”, eccetera, come se non sapessimo che buona parte del nostro giudizio è rivolto al traduttore e non all’autore (ho riportato appositamente solo esempi stilistici, ovviamente per la trama non c´entra)? È vero che il traduttore deve rifarsi allo stile dell´autore, ma pensate a quanto ci può essere del traduttore in opere come quelle di Virginia Woolf o nelle traduzioni delle poesie (che secondo me dovrebbero essere quasi opere distaccate da quelle originali proprio per l´importanza semantica che ogni singola parola riveste). È possibile che il ruolo del traduttore non venga considerato neanche da noi, che leggiamo 30-50-80 libri l´anno (e in gran parte in traduzione)

?
Che ne pensate?