Nessun Luogo. Da nessuna parte.
A volte bastano un titolo, e magari una copertina, per sentirsi irresistibilmente attratti da un libro. Se poi la scrittura - incantevole - ti cattura, cercherai in ogni modo di superare gli scogli che impediscono la comprensione. Che in questo caso sono dannatamente irti, per certi versi persino invalicabili. Almeno per me, che ho tentato e ritentato, tornando più volte sui miei passi, per capirci qualcosa. E temo ancora sia poco.
Illuminante, a un certo punto, s’è rivelata la postfazione di Anita Raja (la Ferrante, per intenderci: ed è la prima volta che leggo qualcosa di suo), che andrebbe in effetti letta prima anziché dopo, se si vuole inquadrare il racconto. Ma può essere d'aiuto anche Alessandro Baricco, in questo articolo apparso su Repubblica (
ricerca.repubblica.it/repubblica/archivi...a-idea-di-mondo.html):
Accade tutto in un salotto borghese, un pomeriggio del 1804, a Winkel sul Reno – benché accadere non sia probabilmente il termine giusto, se non per quelli che lo applicano anche a cose invisibili, micromovimenti dell’anima, frasi appena pronunciate. Gli altri direbbero che non accade nulla. Nel mite salotto borghese, dove buona educazione e disciplinata intelligenza sono la regola, il caso ha riunito due anime irregolari, un uomo e una donna, giovani, scandalo e attrazione della compagnia. Lui se ne sta in un angolo, le dita strette sul bracciolo della poltrona, le nocche bianche: un naufrago che si tiene aggrappato. Lei ha una qualche bellezza che la tiene al centro dell’attenzione, e un’intelligenza che è come un gorgo a cui la gente si avvicina per curiosità e si allontana per prudenza. Non si erano mai visti prima. In quel salotto si conoscono, dunque, ma la parola giusta, qui, è, ovviamente, riconoscono. Belli i loro nomi: Kleist, lui, Günderrode, lei.
Heinrich von Kleist (1777-1811) e Karoline von Günderrode (1780-1806) sono – come gli altri presenti nel libro – personaggi effettivamente esistiti. Lui
fu di gran lunga il drammaturgo più importante nel movimento romantico in Germania, si legge su Wikipedia, mentre per lei si riportano invece le definizioni di
Saffo del Romanticismo e di
Werther in gonnella. Moriranno entrambi suicidi, dopo aver riversato la loro disperata infelicità nelle rispettive opere. A quanto pare, nella realtà, non ebbero mai modo d’incontrarsi.
Ma fortunatamente per noi, Christa Wolf, l’autrice del libro, ha avuto sufficiente immaginazione per far scaturire 118 pagine di pura poesia. E
C’è anche la più elegante dichiarazione d’amore che io abbia mai letto – aggiunge Baricco:
«Volevo dirLe che sarebbe certo una cosa terribilmente innaturale che noi due non diventassimo amici strettissimi». Ed io sono d’accordo con lui.
Il racconto ci parla di disagio interiore, di politica e di letteratura, d’amore e d’amicizia: ma non in maniera pedante e sistematica, bensì attraverso parole sospese, dialoghi appena abbozzati e - soprattutto - un flusso continuo ed alternato di coscienze, dal significato non sempre cristallino. Anzi, spesso oscuro. Ma quando ci si sofferma davanti a un quadro che toglie il fiato, si può rimanere estasiati anche senza sapere chi l’ha dipinto, o cosa rappresenti.
E talvolta questo può bastare. Perché, come scrive la Wolf, dare nome ed espressione alle cose, o ai sentimenti, è proprio degli intellettuali, o dei poeti. Noi invece, che tali non siamo, dobbiamo accontentarci di descrivere ciò che s'è visto, o ciò che s'è provato, anche in maniera confusa. Ma per quanto si possa rimaner senza parole, si potrà perlomeno esclamare, come ho fatto io richiudendo il libro, wow, che bello!