Sabato, 06 Settembre 2025

"Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le

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10/03/2022 07:52 #58378 da guidocx84
Risposta da guidocx84 al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le
Molto interessanti i vostri interventi, grazie! 

Leggendo il tuo precedente post Enrico ho pensato che in merito alla workplace experience forse è davvero meglio essere più mediterranei e meno giapponesi... anche perché su quel fronte credo che i giapponesi siano un po' indietro in realtà (si pensi al fenomeno che chiamano Karoshi )...

Sono d'accordo con te Francesco in merito alla natura e a quanto può insegnarci. Avremmo le soluzioni a molti problemi davanti ai nostri occhi se solo sapessimo osservare. Il contatto con la natura può insegnare moltissimo.

La lettura procede speditamente. Ho superato ampiamente il secondo capitolo che è stato per adesso uno dei miei preferiti perché il miglioramento continuo è un tema al quale tengo particolarmente.

Tempo fa ho letto che dovremmo ritagliarci tutti i giorni una finestra di almeno mezz'ora per leggere e di un'altra mezz'ora per imparare qualcosa. Qualunque cosa, a nostra scelta. Non so se anche questo potrebbe essere definito Kaizen ma mi colpì molto perché seguendo il consiglio sarebbe come definire un piano di crescita personale a piccoli passi e duraturo nel tempo.

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10/03/2022 10:03 #58380 da enrico
Risposta da enrico al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le

forse è davvero meglio essere più mediterranei e meno giapponesi... anche perché su quel fronte credo che i giapponesi siano un po' indietro in realtà (si pensi al fenomeno che chiamano  Karoshi  )...


Guido, tu evidenzi bene un contrasto tra la spasmodica ricerca della perfezione del Kaizen e l'estetica dell'imperfetto del Wab Sabi, con una implicazione nelle sindromi derivanti dal senso di inadeguatezza in cui il giapponese si sente spesso (fino a giungere al Karoshi it.wikipedia.org/wiki/Karoshi). Sembra una contraddizione. Come sembra una contraddizione tra il mondo bucolico in cui la mente si rilassa, come una locanda termale nei boschi del Giappone o un tempio shintoista nella vegetazione, e certi aspetti di disciplina e violenza estrema (anche contro se stessi) che vedo incarnati da Mishima, in contrasto con le figure di Tanizaki e Kawabata (per restare nella letteratura). E c'è anche un contrasto tra la tensione alla trasformazione tecnologica estrema e la nostalgia del passato (che il libro spiega bene presentando il concetto di mono no aware). 

La nostalgia del passato e e il rimpianto del trasformarsi delle cose è presente in ogni cultura. Pensiamo a quante canzoni, di tutte le latitudini, di una città, rimpiangono quello che fu e che non sarà più! La distanza culturale dalla mentalità giapponese non ci impedisce di vedere questo modo dell'animo umano e trarne delle conseguenze generali. La nostalgia per uno stato e per uno stile mediterraneo della socialità e della vita ci porta a immaginare un ritorno ai piccoli borghi di origine (incoraggiati dall'aver assaporato lo smart working). Si parla anche di un possibile south-working, dalla spiaggia del paesino mediterraneo invece che nella metropoli del Nord. Quanto tutto ciò è letteratura? e quanto è mondo possibile e realistico stile di vita in una società contemporanea? Il viaggio nel Giappone proposto dal libro ci può dare risposte. 
Ringraziano per il messaggio: guidocx84

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11/03/2022 09:53 - 11/03/2022 10:02 #58386 da enrico
Risposta da enrico al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le
Il miglioramento continuo (Kaizen), così come è applicato nelle organizzazioni, è un prestito alla cultura giapponese (che riceve) da parte della cultura manageriale americana (che dona).  Più precisamente Kaizen nasce dall'accoglienza in Giappone dell’idea di Taylor del management scientifico.

 Deming, col suo ciclo di miglioramento PDCA (Plan Do Check Action), si muove nel solco di Taylor, che vede il lavoro produttivo come un campo di ricerca (Genba, dicono i giapponesi) e applica una forma di standardizzazione del lavoro di miglioramento e di crescita delle competenze di processo. La cultura giapponese, propensa al sincretismo, ha accolto con grande rispetto, disponibilità e disciplina il management scientifico, sviluppando ulteriori perfezionamenti che vanno oltre Deming, come quello del lean thinking.
Il Kaizen in azienda è un mix di metodo scientifico occidentale e disciplina giapponese. Applicando il modello di Edgar Schein di “cultura aziendale”(ma potremmo estenderlo alla cultura di un Paese) la cultura giapponese  ha accolto da quella americana  il concetto del miglioramento continuo dei processi di produzione, grazie ad alcuni valori fortemente interiorizzati da millenni: il rispetto per l’interlocutore (in questo caso il cliente) e la disciplina nell’apprendimento (insita nel concetto Kaizen).  
Ma, come ha osservato negli anni ’90 l’economista Aoki Masahiko, nella cultura giapponese esistevano altri valori che si opponevano ai principi della Qualità Totale. Uno di questi è descritto dall’antropologa giapponese Nakane Kie che spiega la struttura verticale della società giapponese in cui prevale sempre la coesione “verticale” lungo la gerarchia, piuttosto che la collaborazione “orizzontale”, interfunzionale”  lungo la direzione dei processi collaborativi. In altre parole, a differenza di quanto s pensa,  la cultura giapponese non è una buona premessa alla cooperazione tra reparti diversi (cross functional) che è alla base del TQM. Tale collaborazione è ottenuta, con uno sforzo di progettazione organizzativa, attraverso la creazione di alcuni “artifacts” che vanno dai famosi “7 strumenti” della Qualità , allo sviluppo dei percorsi di carriera, agli uffici open-space interfunzionali, al metodo dei circoli della qualità eccetera.
Quindi, riassumendo, Kaizen è un originale mash-up di cultura Giapponese e Americana. Esso si fonda su alcuni tratti culturali del Giappone e su alcuni artefatti volti a favorire i processi collaborativi necessari alla collaborazione lungo tutto il processo centrato sul cliente.   Tali artefatti rendono possibile il successo nell’implementazione e nell’esecuzione della qualità totale anche in paesi di cultura molto diversa.

Vorrei suggerire la lettura di un mio contributo ad Harvard Business Review Italia sull’origine Tayloristica dell’approccio giapponese alla produzione. Nell’articolo sottolineo che la storia delle idee presenta flussi di pensiero tra una cultura e l’altra. E quello che il Giappone ha accolto da Taylor e Deming è stato coltivato e rielaborato in modo originale, ad esempio da Ohno Taiichi,  per essere a sua volta accolto coltivato e rielaborato  in USA.

Un mondo aperto si giova delle ibridazioni delle culture e degli scambi di conoscenze. A volte sembriamo dimenticarcene e vedere barriere invalicabili tra una cultura e l'altra.

www.slideshare.net/viceconte/harvard-bus...raneo-di-nome-taylor
 
Ultima Modifica 11/03/2022 10:02 da enrico.
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11/03/2022 16:43 #58390 da Spadera
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13/03/2022 11:39 #58409 da Spadera
Risposta da Spadera al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le
Hanafubuki

Continua il viaggio a Kyoto. Terza tappa, tra sakura e hanafubuki. I sakura sono di boccioli di ciliegio (e dunque i fiori). In Giappone sono una sorta di tensione alla spiritualità, che non è religione, ma espressione dell'individuo come parte di un tutto che fa del finito e dell'infinito due "normali" compagni di viaggio. Nella società contemporanea si parla ormai da un po' di progetti complessi, delle interazioni come definizione dell'individuo stesso. Interazioni che si accompagnano a un cambiamento continuo, che spaventa per l'incertezza di quello che non si conosce. I sakura sono e la loro danza nel vento (hanafubuki) rappresentano l'essere umano come parte di un tutto e descrivono, attraverso la bellezza del momento, l'ineluttabilità e, allo stesso tempo, l'opportunità del cambiamento.
La natura insegna che non dobbiamo avere paura di cambiare, fa parte della nostra esistenza. Come gioia e dolore. La vita farà comunque il suo corso. Noi possiamo essere presenti e fare nel momento, oppure rinchiuderci nelle nostre paure e attendere. 
Sta a noi decidere. Un viaggio tra petali che danzano nel cielo, consapevoli del proprio perchè e della propria necessaria caducità.

     
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13/03/2022 22:05 #58416 da guidocx84
Risposta da guidocx84 al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le

Sta a noi decidere. Un viaggio tra petali che danzano nel cielo, consapevoli del proprio perchè e della propria necessaria caducità.


Ed è per tale caducità che dovremmo vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Eppure tutti lo diciamo e poi non lo facciamo.
Fino a quando un qualche evento sconvolgente sembra aprirci temporaneamente gli occhi… salvo poi richiuderli poco dopo… perché facciamo così?

La metafora che accomuna la vita con i fiori di ciliegio che nascono, fioriscono e dopo due settimane volano via col vento è tanto bella quanto forte.

A tal proposito oggi mi sono imbattuto in uno speech di Denzel Washington alla Pennsylvania University che si conclude con un invito agli studenti che credo sia attinente e mi è rimasto impresso: “Non aspirate soltanto a sopravvivere. Aspirate a fare la differenza”.

La vita è una sola. Dovremmo assecondare le nostre passioni per fissare degli obiettivi e provare incessantemente a raggiungerli.

Comunque, il sentiero del filosofo l’ho percorso interamente durante una giornata afosa di agosto. È uno spettacolo!
Immagino cosa dev’essere a primavera con i ciliegi in fiore… dicono infatti che il Giappone andrebbe visitato durante tutte e quattro le stagioni ma la primavera, durante la fioritura dei ciliegi, dev’essere un sogno :)

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19/03/2022 12:05 #58490 da guidocx84
Risposta da guidocx84 al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le
Ho superato da poco la metà del libro i cui contenuti mi stanno facendo apprezzare sempre di più la cultura giapponese. Ho fatto sedimentare un po' di ciò che ho letto ripensandoci durante la settimana e ho maturato la convinzione che se anche riuscissimo ad applicare una piccola parte dei concetti fondanti della cultura giapponese alla nostra vita, sarebbe già un gran bel risultato! 

Del capitolo 4, intitolato Omoiyari: l'importanza delle (altrui) emozioni, "porto a casa" questa importante riflessione che l'autrice fa sulla società moderna, dalla quale emerge il concetto di empatia.

Viviamo in un’epoca in cui la vita è interamente orientata al proprio interesse egoistico ed esclusivo. Siamo tutti fagocitati da ambizioni sempre più grandi, che portano spesso a pestare i piedi a chi ci circonda: troppe volte il motto principale di ognuno sembra essere mors tua vita mea; si tende a giudicare le persone in base al loro successo professionale, senza tenere conto dei bisogni e dei sentimenti altrui. La conseguenza di un atteggiamento del genere è devastante per tutti: danneggia non solo chi lo subisce, ma anche chi lo mette in atto, proprio perché si trova a spendere tutte le energie nel nuocere agli altri, nella vana ricerca di un’approvazione che, in fondo, non sarà mai autentica né genuina. [...] 
Bisogna allontanarsi dai propri interessi e curarsi del prossimo, per stare bene facendo del bene. Questa inclinazione positiva si può cercare e trovare nella cultura giapponese, in cui la gentilezza e la considerazione verso gli altri guidano la vita quotidiana di ogni cittadino; e proprio questo modo di concepire la vita è espresso dal termine omoiyari, che dovrebbe essere il principio fondamentale di ogni relazione umana. [...] 
Si tratta di gentilezza gratuita e intuitiva che mira soltanto a soddisfare il benessere di chi ci circonda, lontano da obiettivi egoistici. [...] 
in psicologia il significato di questo termine è stato individuato nell’unione dei concetti “altruismo”, “compassione” ed “empatia” e si manifesta a livello sociale attraverso un’attitudine positiva nei confronti degli altri.


L'empatia viene ormai universalmente riconosciuta come una soft skill molto importante che dovremmo allenare per vivere a pieno e con soddisfazioni le nostre relazioni con gli altri.
Anche nel mondo del project management ovviamente si parla spesso di empatia e di quanto tale abilità emotiva sia necessaria per la gestione dei team e per la piena comprensione delle aspettative degli stakeholder.

Il capitolo 5, dal titolo Kintsugi: un aggiustatutto per l'anima, fa luce sulla famosa arte giapponese del riparare gli oggetti rotti con l'oro. Leggendolo ho compreso che anche in questo caso, come in tanti altri della cultura giapponese, dietro il gesto c'è una metafora, c'è spiritualità.

Il kintsugi è una metafora da applicare alla vita reale per guarire le ferite dell’anima e dare risalto alle cicatrici che ci portiamo addosso riempiendole d’oro, affinché brillino e diventino le fessure dalle quali far scaturire nuova forza, nuova energia. [...]
la fragilità è utile alla crescita e che non deve spaventarci. Le esperienze dolorose sono espedienti per il rafforzamento dell’anima: non ci indeboliscono, bensì, se comprese e assimilate a fondo, ci valorizzano, rendendoci unici e preziosi, proprio come l’oro che ripristina l’interezza del vaso frantumato o un segno sulla pelle che rende particolare e riconoscibile un corpo.


Questo approccio ci fa capire quanto sia importante farsi forza, accettare le esperienze dolorose che ci troviamo inevitabilmente ad affrontare nel corso della vita con l'obiettivo di uscirne ancora più forti ed unici. Sicuramente non è un percorso facile né veloce ma è un approccio che mira a trarre il positivo dal negativo.



 

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19/03/2022 14:13 #58491 da elis_
Risposta da elis_ al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le
Appena iniziato la lettura, ho letto solo il primo capitolo perché voglio leggerlo pian piano in modo da far sedimentare bene ogni concetto dentro me, posso già dire, però, che non ho mai sottolineato tante frasi in un libro! :laugh: il primo capitolo è un toccasana per l'anima nel mondo in cui vige la legge dei social network, della corsa a chi ha la vita più perfetta, del non sentirsi mai all'altezza, dell'apparire più che essere. Penso che a fine lettura farò dei diagrammi, in modo da tenere sempre con me questi concetti, di cui sto già facendo tesoro. Conosco molto poco della cultura giapponese ma ne sono sempre stata affascinata, spero che questo libro mi aiuti a conoscere e capire.

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19/03/2022 15:00 #58492 da guidocx84
Risposta da guidocx84 al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le

Appena iniziato la lettura, ho letto solo il primo capitolo perché voglio leggerlo pian piano in modo da far sedimentare bene ogni concetto dentro me, posso già dire, però, che non ho mai sottolineato tante frasi in un libro! :laugh: il primo capitolo è un toccasana per l'anima nel mondo in cui vige la legge dei social network, della corsa a chi ha la vita più perfetta, del non sentirsi mai all'altezza, dell'apparire più che essere. Penso che a fine lettura farò dei diagrammi, in modo da tenere sempre con me questi concetti, di cui sto già facendo tesoro. Conosco molto poco della cultura giapponese ma ne sono sempre stata affascinata, spero che questo libro mi aiuti a conoscere e capire.


Davvero Alice! Sto sottolineando tantissimo anche io! Ho provato per la prima volta anche la funzionalità del Kindle con cui puoi inviarti le cose che hai sottolineato via email: ti arriva un pdf con tutte le frasi sottolineate :D

Sono contento che ti sei unità a noi! ;)

p.s. voglio vedere i diagrammi se li fai! :)

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20/03/2022 20:06 #58504 da Spadera
Risposta da Spadera al topic "Il pensiero giapponese" di Mai Yen Le
Quinta tappa (capitolo 5) Kintsugi: un aggiustatutto per l'anima.

Quando ho cominciato a leggere questo capitolo, la prima parola che mi è venuta in mente, da "occidentale",  è stata resilienza.

Poi però, riflettendoci su, ci si rende conto che non è una traduzione corretta: la resilienza è la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. E in questo caso il vaso si rompe e come. 

Allora ho provato ad associare a "kintsugi" un altro termine: antifragile (concetto esplorato da Nassim Nicholas Taleb nel suo libro del 2012 Antifragile). L’antifragilità non solo è resistenza e resilienza, ma anche capacità di imparare dalle avversità per tornare a essere più forti di prima. E' imparare da quanto fatto, dagli errori e diventare (dunque implica una tarsformazione) più forti di prima.  

Probabilmente però neppure questo termine rende il concetto di "kintsugi".

Cosa ne pensate?

 
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