Da Dostoevskij e il parricidio di S. Freud:
"La pubblicazione delle carte postume di D. e dei diari della moglie ha illuminato violentemente un episodio della sua vita: l'epoca in cui, in Germania, egli fu dominato dalla febbre de gioco. Un innegabile accesso di passione patologica, che nessuno è riuscito a spiegare altrimenti. Non sono mancate le razionalizzazioni di questo fatto strano e indegno. Come accade non di rado nei nevrotici, il senso di colpa si era creato un sostituto palpabile in un carico di debiti, e Dostoevskij poteva addurre come pretesto che le vincite al gioco gli avrebbero consentito di tornare in Russia senza venire imprigionato su richiesta dei suoi creditori. Ma questo non era altro, appunto, che un pretesto. Dostoevskij era abbastanza acuto da intuirlo e abbastanza onesto da ammetterlo. Egli sapeva che l'essenziale era giovare in sè e per sè , le jeu pour le jeu (il gioco per sé stesso). Ogni particolarità del suo comportamento impulsivamente insensato dimostra questo e qualcos'altro ancora. Egli non trovava pace fin quando non aveva perduto tutto. Il gioco era per lui anche un modo di punirsi. Innumerevoli volte aveva promesso o dato la sua parola d'onore alla giovane moglie di non giovare più o di non giovare in quel tal giorno, e quasi sempre, come racconta la moglie, infrangeva la promessa. Quando con le sue perdite aveva gettato sé stesso e la moglie nella miseria più nera, ne traeva un secondo soddisfacimento patologico. poteva coprirsi di ingiurie al suo cospetto, umiliarsi, intimarle di disprezzarlo, recriminare che ella avesse sposato lui, vecchio peccatore, e dopo essersi sgravato la coscienza, ricominciare d'accapo il giorno successivo.
Facilmente possiamo confrontare questa analisi freudiana del comportamento del giocatore Dostoevskij ai comportamenti di alcuni personaggi del suo romanzo.
La nonna per esempio, arrivata improvvisamente, non vede l'ora di far fuori il suo patrimonio divertendosi per punire il nipote (il generale) che aspetta la sua morte per sposare una cocotte.
Così come il narratore gioca e vince, ma poi va a sperperare la sua vincita a Parigi, con quella stessa donna che lui non solo non ama ma che infondo considera una arraffona disonesta.
Dostoevskij pur essendo stato forse uno dei più grandi narratori del 800/900 era un uomo molto complicato, dalle mille sfaccettature, con problemi nevrotici e isterici ovviamente mai risolti. Grande pensatore e fine psicologo egli stesse è stato capace di regalarci personaggi pieni di contraddizioni e di conflitti. Egli da grande artista ha colto per noi i vari personaggi del sottosuolo, mostrandoci spesso il loro lato più oscuro e nero.
Grande artista.
Tornando al romanzo di cui stiamo parlando, dico che anch'io come altri, durante la lettura mi sono trovata in ansia per quello che stava accadendo, un po' come essere sulle montagne russe, e poi sempre in attesa di un disastro, una ingente perdita o una vincita improvvisa. Si, questi giocatori camminavano sul filo del rasoio e questo mette ansia nel lettore, rende il romanzo avvincente, ma nello stesso tempo più di una volta ho dovuto interrompere.
Mi mancano due capitoli credo alla conclusione.
Anche se molto diverso dal Dostoevskij mistico che preferisco, mi è piaciuto.
"ESSERE! ESSERE E' NIENTE. ESSERE E' FARSI".
(Da "Come tu mi vuoi" di Pirandello)