Procedendo nella lettura sono sempre più immerso nelle storie e nei personaggi della kasaba. L'impero asburgico si è preso la città e ha iniziato a portare le sue novità, nonostante la resistenza iniziale della popolazione. I cambiamenti hanno ammodernato la città e portato un certo benessere che non sempre ha dato quella felicità che si è creduta successivamente. Andric descrive la felicità di fondo, l'arricchirsi, le nuove attività sorte in questo periodo. Cose che nemmeno si immaginavano prima, è veramente arrivato un cambiamento epocale, un mondo nuovo.
Questa lettura continua a farmi pensare alla nostra di storia, e questo periodo di crescita economica e capitalistica non può non farmi riandare al nostro secondo dopoguerra, di libertà, di ricostruzione, di abbandono dell'autarchia rurale fascista e di boom economico. Anche il decennio che va dalla fine degli anni '50 alla fine dei '60 è ricordato come un tempo felice, ma solo in superficie. In quella Italia, come nel libro di Andric, in realtà il capitalismo ha lasciato indietro i più deboli, i nuovi mezzi hanno portato a maggiori studi e quindi a una maggiore coscienza politica.
E' quando molti riescono a migliorare la propria condizione che quelli che non ci riescono scoppiano in protesta, è stato così e sarà così anche in futuro, mi sembra di capire. Perché leggere questo libro mi ha confermato che gli antichi greci e indiani avevano ragione: la storia non è una linea retta che va da un prima a un dopo, ma un cerchio dove le dinamiche, le leggi alla base delle società, continuano a ripetersi all'infinito.
Tra i tanti personaggi, uno che mi ha colpito particolarmente è Ali-hodza. Al punto in cui sono arrivato è ancora in vita, quindi non so se quello che sto per scrivere verrà confutato prima della sua fine, però mi ha colpito la sua costante resistenza al cambiamento. Da giovane era già un bastian contrario, come dimostra l'episodio dell'orecchio. Si oppone al censimento, si oppone alla modifica del suo negozio, critica i cambiamenti della società, l'arrivo del treno, persino i lavori di restauro del ponte (in questo, ho trovato bellissima la storia di come gli uomini abbiano imparato dagli angeli come costruire i ponti): insomma è un uccellaccio del malaugurio, che non riesce a non essere pessimista, come quei vecchi che in ogni epoca criticano il presente, vedono nero il futuro, e abbelliscono il passato quando erano giovani e saltavano i fossi per il lungo. Ali mi ha colpito particolarmente perché il mondo è pieno di tali pessimisti, che vedono nelle persone felici solo degli illusi che non si rendono conto che il cambiamento è sbagliato. Mi vengono in mente tante persone del mondo reale che vedono il giusto in tutto ciò che è contro, solo perché pensano che "il sistema" li stia fregando e non possa non volerli fregare. Dei Savonarola che puntano il dito e che alla prima crisi se ne escono esultanti col "ve l'avevo detto!".
L'episodio del treno è esemplare: tutti si meravigliano del fatto che invece di due giorni di viaggio in carrozza, con pernottamento, ci vogliano solo 4 ore di treno per arrivare a Sarajevo. Tutti ci vedono solo il lato positivo. Gli unici a vedere male la cosa sono il buon vecchio Ali e i contadini: il primo per rifiuto della società, i secondi per quella diffidenza rurale comune a tutte le culture, dovuta all'ignoranza, al non comprendere il cambiamento. In comune, Ali e i contadini, hanno una cosa: sono fuori dal mondo che verrà e non possono non venire lasciati indietro dalla storia. Vedono gli altri adattarsi al cambiamento, mentre loro restano fermi dove sono, per cui giudicano gli altri negativamente e si sentono differenti, emarginati, esclusi. Senza rendersi conto che è la loro coerenza, ossia la loro stasi, ad averli emarginati.