miluppa ha scritto: sono una frana... avevo scritto un commento a cio' che citava bibbagood, ma ammetto la mia poca dimestichezza nell'uso della tecnologia..
spero mi perdonerete.
Cercheremo di perdonarti

Vi ricordo che se dopo la pubblicazione del messaggio vi rendete conto che volete cambiare qualcosa, avete trenta minuti per poterlo modificare
Nel frattempo, la mia lettura sta volgendo alla fine.
Nel capitolo 18 c'è una divertente osservazione sul cibo: Sylvia non ce la fa a parlare seriamente durante un pasto, perchè altrimenti non riesce a concentrarsi sul cibo e le sembra di non gustarselo abbastanza. Riflette che i francesi a tavola parlano poco se non del cibo stesso, e ho pensato che per gli italiani è un po' la stessa cosa: durante un pasto si parla in continuazione di quel che si sta mangiando, di quanto sia venuto bene, o di come sarebbe potuto essere meglio, o di come si ha intenzione di cucinare quelle stesse cose la prossima volta

Evidentemne è l'argomento di conversazione predominante per gustarsi il cibo e la compagnia contemporaneamente
Nel capitolo 19 scopriamo un Joyce non solo appassionato di musica e di opera, ma anche cantante! Addirittura la Beach ci dice che "Joyce non perdette mai l'illusione che lui stesso avrebbe potuto fare il cantante"

Confrontando poi il suo successo con quello di un tenore a cui si era affezionato, la Beach riflette sul fatto che nonostante Joyce si sia sempre considerato una vittima di persecuzioni, in reltà proprio queste persecuzioni hanno fatto sì che acquisisse gran fama già in vita, e non secoli dopo come tanti altri. Si conferma quindi qui la massima secondo cui non è importante se si parla bene o male di qualcosa, l'importante è che se ne parli e ciò sarà più che sufficiente come pubblicità. Proprio il fatto che Joyce fosse vittima di censura nei paesi anglofoni e vittima di pirateria, ha fatto sì che diventasse un "caso editioriale", e che tutti gli intellettuali dell'epoca si facessero in quattro per farlo emergere.
Un altro punto che mi è rimasto impresso è nel capitolo 21, quando la Beach parla di un gatto di una sua amica, molto grasso, che una volta per poco non è stato rapito da una persona che passava vicino al giardino: "Molti gatti ben pasciuti finiscono male i loro giorni, a Parigi: sono troppo buoni come congilio in umido"
Infine, bella ed efficace la scena dell'esodo di Parigi (che mi ha ricordato subito le pagine di Suite francese della Nemirovsky) e dell'occupazione. In particolare, bello il il riferimento alla aiutante volontaria della libreria, una ragazza ebrea che a causa delle leggi razziste era stata esclusa dalla Sorbona, ma il suo professore ha continuato a farla studiare in segreto. Mi è piaciuta la scena perchè, in tre righe, dàun altro scorcio di come dovesse essere la realtà di Parigi in quegli anni: la passione illimitata per la cultura veniva conviveva con la repressione più brutale (sia durante la guerra, ma anche negli anni prima, dove appunto l'importanza data alla censura va di pari passo a una vivacità intellettuale difficilmente ritrovabile in altri momenti storici).