guidocx84 ha scritto: Avete idea di quante persone nel mondo avranno letto quella frase sugli italiani e creduto che fosse vera? Gli scrittori (soprattutto i buoni scrittori come Nabokov) hanno un potere enorme... forse dovremmo/dovrebbero riflettere anche su questo. Quanto peso dare alle parole?
Al capitolo 2 si fa riferimento a un certo Pichon ed al suo
La Beauté Humaine, su cui il giovane Humbert avrebbe appreso qualche nozione d’educazione sessuale. Cercando in rete, si scopre però che titolo ed autore sono inventati. Allo stesso modo, al capitolo 8, accanto a Dickens e ad Agata Christie, viene citato pure tale Percy Elphinstone,
l’autore di Venezia rivisitata, Boston, 1868. Anche in questo caso, nonostante la nota estremamente dettagliata, non ho trovato una reale corrispondenza.
Questa commistione così ben congegnata tra realtà e finzione confonde il lettore, che già disturbato dal tema e fuorviato da una nota introduttiva che sembra rimandare ad un presunto fatto di cronaca, ad un certo punto non riesce più a discernere tra ciò che è verità e ciò che è romanzo. La supposta identità tra autore e personaggio cui qui s’è fatto cenno ne è - credo - una conseguenza.
Ci si domanda, non senza un brivido: com’è possibile descrivere con tale lucidità le sensazioni di Humbert se non le si è provate? Da qui il sospetto di un “lato oscuro” in Nabokov. Ma estendendo l’indagine psicologica ai lettori, potremmo allora chiederci anche se un lato oscuro non esista pure in noi, che nel modo di pensare e di sentire di Humbert riconosciamo senza dubbio alcuno il profilo del vero pedofilo, quasi ne avessimo mai avuta esperienza diretta. E questo non vi metterebbe ancor più i brividi?
Ecco perché non condivido la conclusione di Graziella, quando scrive: “qui mi pare non si voglia accettare che Nabokov ha potuto scrivere Lolita, ha potuto parlare di Humbert, proprio perché anche lui si è potuto identificare nel suo personaggio”. E nemmeno comprendo fino in fondo questa distinzione che si fa tra contenitore e contenuto. Non dovremmo infatti secondo me dimenticare che stiamo pur sempre leggendo un romanzo, non gli atti d’un processo: sui personaggi non ci è richiesto d’emettere sentenze e nemmeno d’esprimere giudizi morali, che del resto sono già impliciti anche in Nabokov quando premette:
non ho alcuna intenzione di mettere «H. H.» in una luce favorevole. Egli è indubbiamente un individuo ripugnante ed abietto, un fulgido esempio di lebbra morale, una commistione di ferocia e lepidezza che rivela forse un’infelicità estrema, ma non contribuisce affatto a rendercelo simpatico.
Io sono ancora all’inizio: Lolita è appena entrata in scena. Non posso ancora gridare al capolavoro, come fa Pier, ma non ho provato alcun senso di nausea; anzi, il romanzo - per ora – mi sta piacendo, non solo stilisticamente. C'è da preoccuparsi?