Sono al 40% e mi sono rimesso in pari con la discussione leggendo tutti i vostri post
Vorrei fare una riflessione sulla struttura del libro prima ancora che sui contenuti.
Andando avanti con la lettura, ho rilevato una differenza sostanziale con la struttura dell'altro libro di racconti "intrecciati" di cui parlavo nel mio precedente post ("Turbolenza"), o con altri libri di racconti che ho letto in precedenza.
In
Kentuki i racconti sono organizzati in modo da farci ritrovare ciclicamente i personaggi che abbiamo incontrato in precedenza.
Questa struttura frammentata secondo me agevola il lettore nell'andare
gradualmente sempre più a fondo nelle storie dei personaggi. L'autrice sembra volerci mostrare come tale esperienza li stia cambiando
profondamente e progressivamente.
Ho trovato interessante provare a visualizzare questo cambiamento per gradi, distaccandoci per un attimo dai personaggi, per poi tornare a trovarli più avanti, analizzando l'impatto che il kentuki porta nelle loro vite ad ogni passaggio delle loro storie.
Mi pare che questo approccio renda i cambiamenti dei personaggi maggiormente visibili al lettore rispetto a come sarebbe stato, ad esempio, se l'autrice avesse strutturato il libro utilizzando un approccio standard (es. se ogni racconto avesse narrato dell'esperienza di uno dei protagonisti dall'inizio alla fine, per poi non incontrare più questo protagonista nei racconti successivi).
@Francesca: l'esperimento di leggere i racconti dei vari protagonisti in maniera sequenziale mi interessa per smontare o confermare la mia tesi. Fammi sapere le tue impressioni finali al termine dell'esperimento per favore
Parlando di contenuti invece, tra tutte le storie narrate, quella di Marvin è quella che mi sta colpendo maggiormente perché si nota come venga completamente "risucchiato" dalla tecnologia che ha in mano
non riuscendo a governarla.
Diventa una droga.
Trovo la storia attuale e calzante per raccontare e ragionare su uno dei drammi del nuovo millennio.
In Marvin ho rivisto la stessa faccia assente, inespressiva ed inebetita di alcuni bambini di amici, conoscenti e famiglie viste a giro quando, ad esempio, ad un tavolo del ristorante, i bambini si estraniano da tutto e tutti e vengono assorbiti da smartphone/tablet, che magari il genitore gli ha dato per calmarli o, peggio ancora, per convincerli a mangiare...
Infatti non sono d'accordo con Piripicchio quando scrive:
Piripicchio ha scritto: RIesco peggio a calarmi in una situazione in cui questo è diventato un fenomeno di massa, coi bambini lasciati da soli con gente a caso che li guarda e interagisce con loro tramite internet.
Trovo la cosa esageratamente pretestuosa e veramente poco credibile, forse volutamente grottesca...
Secondo me non c'è niente di poco credibile, volutamente grottesco o di distopico in questo.
Anzi, mi pare che l'autrice stia chiamando kentuki qualcosa che siamo abituati a chiamare diversamente, magari in tanti modi ma che di fatto esiste già... (del resto voi stessi avete fatto tantissimi esempi di dispositivi e servizi divenuti ormai di uso quotidiano di cui siamo circondati...)
Su questo mi trovo al 100% in linea con il commento di dbrach77 e con Francesca quando dice che la forza di questo libro è quella di rappresentare contesti a noi familiari.
Nel caso di Marvin, ad esempio, secondo me il problema non sono la solitudine o l'insoddisfazione della propria vita (di cui parlava Francesca qualche post fa). Dev'essere qualcos'altro, un mix di condizioni.
Una di queste credo che possa essere l'
assenza di disciplina.
Ricordo quando mio padre acquistò il primo PC della famiglia. Io e mia sorella eravamo impazziti! Ci avremmo passato davanti intere giornate. Però il PC aveva un meccanismo, una chiave, con il quale mio padre poteva inibire lo startup. Sembrerà una cavolata ma la regola "massimo un'ora al giorno ciascuno, a meno che non lo utilizziate per studiare", nel mio caso funzionò. In che modo? Innanzi tutto non stavo H24 al PC e questo distacco mi aiutò a non trasformarlo in una "droga" e, quando ci stavo più dell'oretta che lo utilizzavo per giocare, mi guardavo i corsi della DeAgostini per imparare ad utilizzare il PC, da cui poi è nata la mia passione per la tecnologia
Con questo non voglio dire che mio padre sia stato perfetto o che questo sia il modo corretto di agire (ogni situazione ovviamente è diversa) ma se penso alla situazione di Marvin nel libro, vedo un padre per lo più assente, che purtroppo perde il controllo della situazione.
Ma non è un problema solo dei bambini e dei giovani. È un problema che riguarda tutti. Solo che nel caso dei bambini, è il genitore che dovrebbe applicare la disciplina nella maggior parte dei casi (e il bambino è fortunato ad avere qualcuno che lo guida e lo indirizza!).
Nel caso degli adulti, dovremmo applicarla autonomamente e purtroppo capita di non essere in grado di farlo (come evidenzia Bea in un suo post).
bibbagood ha scritto: Ho letto da poco la scena di Marvin, che solo dopo un bel po' di tempo davanti al tablet si rende conto di avere ancora lo zaino in spalla. Anche qui, penso succeda spessimo purtroppo che uno entri in casa e continui a rispondere a messaggi sul cellulare o a leggere/vedere qualcosa sul cellulare e solo dopo un bel po' si accorga di avere ancora la giacca adosso.
Spesso ci riteniamo in grado di impartire disciplina agli altri ma non siamo in grado di impartire per prima cosa disciplina a noi stessi.
Non me la sento al momento di esprimere giudizi generali sul libro dato che non l'ho terminato ma lo farò sicuramente più avanti