bibbagood post=67736 userid=1044Non so se è veramente quel che voglia dirci Steinbeck, anche perchè in Lennie crea un personaggio per cui il lettore probabilmente farà sempre il tifo, quindi forse potrebbe essere invece letto come un invito a far prevalere questa parte di noi. Se Steinbeck opta per la repressione di essa é forse più che altro per il cinismo con cui descrive le realtà oggetto dei suoi romanzi, il voler mettere nero su bianco quanto il destino dell'uomo in determinati contesti sia senza speranza.
Non so cosa voglia dirci Steinbeck, perlomeno non più di quanto io sappia cosa voglia dirci Shakespeare quando fa morire due adolescenti per un soavissimo amore contrastato. Scusate la boutade, ma proprio non ci arrivo. Siamo sicuri che lo scrivere abbia davvero questo risvolto prescrittivo, di voler dire come dovrebbero andare le cose, e non invece soltanto l'intento descrittivo, di rappresentare la vita nella sua complessità, assurdità, crudeltà? Mi sembra di veder rinascere la figura dell'intellettuale engagé che andava tanto di moda il secolo scorso, con l'implicito mandato di esprimere un "messaggio". Ma penso anche ai tanti romanzi distopici che ci mostrano le aberrazioni a cui può condurre una politica dissennata. D'accordo, molto spesso c'è un intento pedagogico. Però c'è anche lo scrittore che con il suo realismo vuole
soltanto parlarci della condizione umana in una certa epoca storica scavando nella psiche di alcuni tipi di uomini e donne, magari mostrando anche il contesto storico e sociale, ma comunque prendendo come protagonisti dei personaggi complessi e mostrandoceli nelle loro molteplici sfaccettature. Riprodurre la realtà, magari estremizzando le situazioni, per mostrarci uno dei mille miliardi di modi in cui può realizzarsi la vicenda umana, che in fondo alla fine è sempre tragica perché si muore, ma è anche sempre erotica perché si ama e si desidera, ed è sempre comica perché siamo buffi, piccoli, patetici. E a volte è anche eroica ma più raramente.
Sono migliaia di anni che raccontiamo sempre la stessa cosa, solo che alcuni la raccontano da veri maghi della parola e ci fanno vivere mille vite invece di una. Altri ancora creano personaggi che diventano simboli, archetipi, miti. Ulisse è stato reinventato da Dante per dirci che è giusto seguir virtute e canoscenza ma l'Ulisse di Omero (o chi per lui) era falso, sleale, infedele, vendicativo e non credo che volesse proporci un qualunque modello. Eppure è diventato un personaggio epico.
Leggiucchiando qua e là nel web, non ricordo nemmeno dove perché a volte faccio zapping pazzeschi, ho trovato una critica che propone una lettura di
Uomini e topi in chiave cristologica, come richiamo alla passione di Cristo, la donna come Eva-serpente, il sacrificio di Lenny come la crocifissione. Tutto può essere, non voglio negare il valore della critica letteraria, però è una prospettiva che non mi cattura.
O meglio, la critica mi convince se mi spiega lo stile, il ritmo degli eventi, il linguaggio usato, la capacità di creare attenzione e immedesimazione nella vicenda. Mi convince se mi fa comprendere come sono raccontati il periodo storico, le condizioni sociali, le rappresentazioni mentali delle persone in quel periodo, i rapporti di lavoro, la condizione del rapporto uomo-donna e poi su questo ordito mi fa comprendere come è costruita la trama. Ma non riesco a domandarmi cosa volesse dirci l'Autore o chiedermi quale fosse secondo lui "la cosa giusta".
Che poi anche su 'sto mito della cosa giusta avrei da ridire, ma sarò clemente, ho sproloquiato abbastanza e vi saluto
susy