Mi accingo a scrivere i miei pensieri appena terminata la lettura di questo romanzo che, seppur breve per il numero di pagine, è enorme per l’emotività che porta con sé. L’amicizia che lega George e Lennie sono il collante del tutto, non è chiaro come si conoscono, si sa solo che hanno in comune la conoscenza di “zia Clara”. Ma era veramente una zia oppure una signora presso la quale hanno lavorato insieme? In effetti, non ha importanza e l’autore non l specifica perché, secondo me, è il loro rapporto di fiducia reciproca che vuole far emergere. Poche descrizioni anche se precise dei luoghi e brevi battute veloci tra i vari personaggi che mi fanno pensare ad testo che potrebbe essere portato su un palco teatrale (chissà se è mai stato fatto, so che è stato girato un film ma ho letto che non merita molto). La dolcezza del legame tar i due protagonisti, così diversi ma così bisognosi l’uno dell’altro si scontra con la rudezza de mondo americano dell’epoca, la figura del “negro” che si piega alle parole della moglie di Curley ne sono l’emblema. Potrebbe sembrare che George no abbia bisogno di Lennie, in fondo distrugge rutto ciò che tocca (topi, cucciolo del cane ed, infine, la moglie di Curley), ma in lui vede il suo sogno di un avita diversa, fatta da una casa propria, un’autonomia che alla fine nessuno può raggiungere.Profetiche le parole che l’autore mette in bocca al ”negro” Crooks mentre parla con Lennie
Voi avete George. E sapete che ritornerà. Supponete di non avere nessuno. Supponete di non potere entrare nel dormitorio e giocare alle carte solo perché siete nero. Che cosa direste allora? Supponete di essere costretto a stare seduto qui leggendo libri. I libri non servono a niente. A un uomo occorre qualcuno… che gli stia accanto.» Gemette: «Un uomo ammattisce se non ha qualcuno. Non importa chi è con lui, purché ci sia. Vi so dire,» esclamò, «vi so dire che si sta così soli che ci si ammala.»
Alla fine la vita del ranch potrebbe rappresentare l’aridità e l’egoismo dell’esse uomo, tutti incattiviti e chiusi in se stessi. Tra tutti Slim è l’unico controcorrente, lui sa ascoltare e lui dirà alla fine a George che l’epilogo non poteva che essere quello che leggiamo nelle ultime tre pagine.
Infine, vorrei dire che la descrizione dei luoghi mi ha riportato alla memoria alcuni tratto di “vincoli” di Kent Haruf, in cui si descrive sempre un’America rurale dove vige un codice di comportamento indiscutibile che è legato alla terra e dove la felicità si sacrifica in nome del dovere e del rispetto. Mentre, la figura di Lennie, il grande gigante sciocco mi ha riportato alla memoria il protagonista di “il miglio verde” di King, anche se le capacità la loro storia avrà un svolgimento molto diverso.
"Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma"
(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere)