Nel primo capitolo della seconda parte ho trovato delle riflessioni interessanti.
La prima è sul valore delle persone:
"Non manca un barlume di luce nel più opaco degli uomini: un assassino suona il flauto con garbo; un aguzzino che lacera la schiena degli schiavi con le frustate è forse un figlio eccellente; un idiota può essere pronto a dividere con me l'ultimo cantuccio di pane che gli resta. E ce n'è ben pochi, di uomini, a cui non sia possibile insegnare qualcosa a dovere. Il nostro errore più grave è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle qualità che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha."
La seconda riguarda un modo particolare di essere liberi, che non significa fare sempre ciò di cui abbiamo voglia, ma saper disciplinarci per raggiungere ciò che vogliamo, con metodo e pur con gioco e leggerezza, se possibile, accettando sempre la condizione presente come una condizione scelta. Essere in questo modo felici e accettare noi stessi.
"C'è un punto solo nel quale mi sento superiore alla generalità degli uomini: io sono più libero e, al tempo stesso, più sottomesso di quel che non osino esserlo gli altri. Quasi tutti ignorano del pari in che cosa consista la loro autentica libertà e il loro vero servaggio. Imprecano alle loro catene; a volte, si direbbe che se ne vantino. D'altro canto, trascorrono il tempo in trasgressioni vane; non sanno imporre a se stessi il giogo più lieve. [...] volevo trovare la cerniera ove la nostra volontà s'articola al destino; ove la disciplina, anziché frenarla, asseconda la natura. [...] Scoprii un modus vivendi per il quale poter adempiere perfettamente al compito più gravoso senza impegnarsi interamente; a dire il vero, a volte ho osato proporre a me stesso di eliminare perfino la sensazione fisica di stanchezza. In altri momenti, mi sono esercitato a godere di una libertà a ritmo alterno: le emozioni, le idee, i lavori, in qualsiasi momento dovevo essere in grado di interromperli e riprenderli; la certezza di poterli mettere in un canto o richiamarli a guisa di schiavi toglieva loro ogni possibilità di signoreggiarmi, e a me qualsiasi sensazione di schiavitù.
Feci ancor di più: mi studiai di trascorrere una giornata intera intorno a un'idea prediletta, senza lasciarla un istante; tutto ciò che avrebbe dovuto distogliermene o distrarmene, progetti o lavori d'altro ordine, parole senza importanza, i mille incidenti della giornata si torcevano su quell'idea come i pampini al fusto d'una colonna. Altre volte, invece, mi davo a dividere all'infinito: ogni pensiero, ogni avvenimento, lo frantumavo, lo sezionavo in un numero grandissimo di pensieri o avvenimenti più piccoli, più agevoli da tenere in pugno. Le risoluzioni più ardue si sbriciolavano in una miriade di decisioni minuscole, da adottare una per una, che menavano l'una all'altra, e che a questo modo diventavano inevitabili e facili.
Ma la conquista nella quale ho impegnato tutto me stesso la più ardua è stata quella della libertà di assentire. Io volevo lo stato in cui ero; durante gli anni in cui dipesi dagli altri, la mia sottomissione perdeva il suo contenuto amaro, e persino indegno, se mi adattavo a considerarla un esercizio utile. Ciò che avevo, ero stato io a sceglierlo costringendomi soltanto a possederlo totalmente, e ad assaporarlo quanto più possibile. I lavori più aridi li eseguivo agevolmente, solo che mi sforzassi a prenderci gusto. Se un soggetto mi ripugnava, ne facevo argomento di studio; avevo l'accortezza di ricavarne motivo di gioia. Di fronte a un caso imprevisto, o disperato, un'imboscata, un fortunale - una volta prese tutte le misure concernenti gli altri - facevo del mio meglio per rallegrarmi del caso, per godere dell'imprevisto che mi si offriva, e l'imboscata o la tempesta s'inserivano senza fatica nei miei progetti o nei miei sogni. [...] E in questo modo, con un misto di riserva e di audacia, di sottomissione e di rivolta ben concertate, di esigenze estreme e di concessioni prudenti, ho finito per accettare me stesso."
"Sentii un peso intollerabile opprimermi il petto, l'odore della terra umida, la presenza invisibile della corruzione vittoriosa, la tenebra di una notte impenetrabile..."
Joseph Conrad, "Cuore di tenebra"