Ho finito la prima parte e mi sto inoltrando nella seconda parte.
Trovo che in questo libro ci sia un "qualcosa" di disturbante, che mi mette a disagio. Una vena di cinismo in quello che scrive riguardo all'abbandono, alla perdita. All'inizio è un pò sottotraccia e l'ho notata durante il dialogo tra Javier e Miquel. Non so se qualcun altro ha questa sensazione. Per fare un esempio uso la frase citata da michxk.4 che si trova all'inizio della seconda parte:
michxk.4 post=61058 userid=7064...
"L’errore di credere che il presente sia per sempre, che quel che c’è in ogni istante sia definitivo, quando tutti dovremmo sapere che niente lo è, fino a che ci resta un po’ di tempo. Ci trasciniamo dietro abbastanza capovolgimenti e giri, non soltanto della sorte ma del nostro animo. Impariamo a poco a poco che quanto ci era apparso gravissimo un bel giorno ci sembrerà neutro, soltanto un fatto, soltanto un dato. Che la persona senza la quale non potevamo stare a causa della quale non riuscivamo a dormire, senza la quale non potevamo concepire la nostra esistenza, dalle cui parole e dalla cui presenza dipendevano giorno dopo giorno, verrà un momento in cui non ci occuperà un solo pensiero, e anche se ciò avverrà, di tanto in tanto, sarà per uno stringersi nelle spalle, e il massimo cui potrà giungere quel pensiero sarà chiedersi per un attimo: “Che ne sarà stato di lei?”, senza nessuna preoccupazione, senza nessuna curiosità.
...
Nel seguito questa frase viene applica sia a vivi (per esempi i vecchi compagni di scuola, gli amori terminati) e sia ai morti.
Penso che buona parte di noi abbia sperimentato (o almeno abbia conosciuto qualcuno che lo abbia sperimentato) la perdita, l'abbandono. E' la vita con i suoi dolori (certi) e le sue gioie (meno certe). Potremmo ricordare una persona (viva o morta) con una emozione la cui forza dipende dal posto che la persona aveva nella nostra vita. Un vecchio compagno di studio potrebbe essere solo un fatto. Anche se personalmente una punta di apprensione la provo. Però una persona che abbia occupato un posto importante nella nostra vita come potrebbe essere ricordata solo come un fatto, addirittura un semplice dato, magari registrato dalla nostra personale Istat? Come potremmo solo alzare le spalle?
Mio ricollego alla mia personale esperienza che non corrisponde al pensiero nel libro. Ho notato che ognuno reagisce in modo molto diverso, ma comunque penso che quello che esprime con la frase precendente non sia universale. Il tempo attutisce il dolore, il dolore può anche scomparire. Quello che siamo dipende da quello che abbiamo vissuto, anche le perdite. Essere indifferenti alle perdite del passato è come essere indifferenti a noi stessi.
Trovo disturbante come passa dall'estremo dell'idealizzazione del morto (quello che rischierebbe la figlia Carolina) all'estremo opposto. Il dolore della perdita si estingue nell’indifferenza, anzi no addirittura diventa in un vantaggio. Verso la fine della prima parte:
"
Voglio dire che, se lo fosse, dopo avermi perduto da qualche tempo potrebbe cominciare a vedere qualche vantaggio o compensazione nella perdita".
Vantaggio? Insomma un pò come vincere alla lotteria 
 Comunque sul "vantaggio" ritorna anche nella seconda parte. E mette la frase in bocca ad un altro personaggio.  Ho pensato che fosse un personaggio che fosse tanto cinico, ma mi sa che è un motivo del libro.
Una nota sui dialoghi. Mi sembrano tutti  innaturali e artificiosi. In alcuni casi sembrano dei filosofi che discutono. Mi immagino un mio amico, che entra nel libro, e alle spalle dei dialoganti mi fa il gesto di impiccarsi 
Ho letto la biografia di Marias su wikipedia. Era laureato in filologia ed ha insegnato per all'università. Come Luisa. E un suo zio lavorava ne il cinema. Chissà se c'è qualcosa di autobiografico nel libro.