Ciao a tutti!
Ho da qualche settimana terminato la lettura di questo libro che mi ha tenuto compagnia praticamente per 6 mesi, e ammetto che anche se non è stata sempre una lettura facile, ne è valsa la pena dalla prima all'ultima pagina.
Solo ora capisco il significato di "opera enciclopedica". Tutti gli approfondimenti su cui Hugo si sofferma (anche se alcuni sono parecchio pesanti - e forse eccessivamente lunghi), servono ad inquadrare il periodo storico e le circostanze in cui i personaggi si muovono. Rimangono inoltre come memoria storica di un tempo e di una realtà ormai spariti (come ad esempio tutta la toponomastica - fogne comprese - di una Parigi che non esiste più).
Sulla scrittura di Hugo mi sono già soffermato in un altro messaggio ma voglio ripetere come la penso: la trovo elegante e ricca; le metafore non sono mai banali, ogni parola sembra scelta accuratamente, le descrizioni dei fatti e degli eventi sono sempre coinvolgenti; mi da l'idea di un livello superiore di padronanza di scrittura rispetto a tanti altri autori famosi.
Sui temi e sugli argomenti trattati, come ha scritto Muchentuchen, se ne potrebbe parlare e scrivere per secoli (come in effetti accade!) e quindi sviscerarli tutti è impossibile.
Al di là poi dell'universalità di concetti come ingiustizia, povertà, redenzione, perdono e sacrificio, alcune parti mi sono rimaste più impresse di altre. Ad esempio, quando racconta dei sacrifici di Fantine; la volta in cui lei già sola e disperata, con la bimba in braccio, sente quella donna dire riguardo ai bambini senza padre: "siamo onesti, mica possono considerarsi figli questi, sono solo svaghi".
Oppure il primo incontro di Cosette e Jean Valjean quella notte nel bosco. Il racconto di come la bimba era trattata, la descrizione di come lei pure appese lo zoccolo la notte di Natale… In alcuni punti è davvero difficile non farsi coinvolgere emotivamente dal racconto.
Sul personaggio di Jean Valjean e sulla sua metamorfosi poi si potrebbero scrivere interi saggi (e probabilmente è stato fatto), ma una delle parti che mi ha colpito di più è stata quando lui sindaco, ricco e al sicuro, si dedica ad aiutare le persone e scopre della situazione di Fantine e Cosette ma nello stesso periodo viene a sapere del processo in cui uno sconosciuto è accusato di essere il forzato Jean Valjean recidivo e pertanto rischia di essere condannato al suo posto.
La battaglia psicologia che affronta Jean Valjean quella notte è probabilmente uno dei momenti chiave del romanzo. E' in quel punto che la trasformazione si completa, mettendo al primo posto l'integrità. Non può permettere che un innocente venga condannato al suo posto; qualsiasi buona azione costruita su questa base, non sarebbe tale e quindi l'unica via possibile è quella di consegnarsi. Anche se questo vuol dire non poter aiutare Fantine e Cosette né nessun altro. Questo concetto è quasi karmico e infine rassicurante, come la pace che si prova alla fine di una tempesta: devi fare quello che va fatto, e al resto ci pensa la provvidenza. C'è morale e speranza in tutto ciò.
Potrebbe (dovrebbe) essere spunto per tutti. Noi tutti sappiamo, dentro, in ogni momento, qual è la scelta giusta. E se non la scegliamo è perchè siamo pigri; perchè fare la cosa giusta è faticoso, spesso doloroso, a volte straziante (come nel libro) e quindi quasi sempre scegliamo un compromesso (nella migliore delle ipotesi), ma in questo modo, quasi sempre, tutto quello che viene dopo è come "viziato"...
Il personaggio di Javert, invece, mi ha un po' deluso. Nel finale si è rivelato inconcludente mentre avrebbe potuto avere una parte più rilevante nella storia e per Thénardier avrei preferito un qualche tipo di punizione divina, ma probabilmente (anzi sicuramente), tutta la sua vita lo è.
Sono d'accordo con Muchentuchen anche quando scrive che le ultime pagine sono state commoventi; dopo tante vicende passate insieme ad un personaggio, condividendone la sorte, ti ci affezioni, che ci vuoi fare…
In conclusione che dire, prendetevi il tempo che vi serve ma è un libro che bisogna leggere. Monumentale.
Lascio una citazione che mi ha colpito e che esprime bene una delle anime del libro:
Era l'anno 1823. Verso la fine di ottobre, gli abitanti di Tolone videro rientrare in porto, dopo un temporale che l'aveva gravemente danneggiata, la nave Orione. Quella nave, così sciancata com'era, entrando in rada ricevette il regolamentare saluto di undici cannonate, restituite una dopo l'altra; totale: ventidue. E' stato calcolato che fra salve, cortesie regali e militari, scambi di schiamazzi, segnali di etichetta, formalità di rade e cittadelle, albe e tramonti salutati tutti i giorni da tutte le fortezze e da tutte le navi da guerra, apertura e chiusura delle porte, ecc ecc, il mondo civile spara a salve, ogni ventiquattr'ore, centocinquantamila cannonate inutili. A sei franchi la cannonata sono novecentomila franchi al giorno. Trecento milioni all'anno che se ne vanno in fumo.
Intanto i poveri muoiono di fame.