bella gente, io sono parecchio indietro: ho appena finito il terzo volume. però non è per mancanza di voglia o di interesse: sospetto che qui ai Castelli Romani ci sia qualcun altro che ha intrapreso questa maratona e che puntualmente prenota in biblioteca il libro successivo un attimo prima di me
ad ogni modo, qualche riflessione sul terzo volume e sui vostri commenti precedenti:
- ho apprezzato moltissimo l'incipit, che mi ha colpita come un pugno allo stomaco, e la fine! a livello di struttura del libro si tratta di scelte coraggiose che si discostano di molto dai capitoli centrali;
- Louise non riesco proprio a farmela piacere. vive una vita totalmente gestita dagli altri. della sua arroganza adolescenziale, del suo orgoglio e dei suoi sogni non è rimasto proprio nulla? e non mi sembra che le scappatelle rappresentino un'eccezione, anzi rendono solo ancora più patetica la sua quotidianità. le manca sempre il coraggio di agire in prima persona. anche con Hugo, lascia che sia lui ad affrontare Michael da solo. non so quanto questo sia specchio della condizione della donna a quei tempi, ma è davvero irritante;
- ho adorato il personaggio di Jack e la sensibilità e la delicatezza con cui la Howard scrive dell'olocausto;
- Zee è la personificazione della suocera che non si augura a NESSUNA DONNA
- il personaggio di Polly mi sembra sempre più deludente. è bella, ok, s'è capito. ma avere anche uno o due obiettivi nella vita, no?
in generale però la condizione di Polly e quella di Clary sono state per me le più interessanti nella narrazione degli anni di guerra. la loro giovinezza è stata essenzialmente annullata dal conflitto. non sono diventate ciò che volevano essere, si sono limitate a sopravvivere, ad andare avanti, come trasportate dal corso di eventi troppo grandi per essere compresi appieno, domandandosi se avrebbero mai vissuto la vita spensierata che aveva caratterizzato la giovinezza dei loro genitori. so che non è possibile paragonare le due cose, ma mi ha fatto pensare un po' a come mi sentivo io quando ho finito l'università, nel pieno della crisi economica, dovendo confrontarmi con la realtà che non avrei mai fatto la vita che avevo immaginato, che se i miei genitori alla mia età avevano una casa, un lavoro fisso e una famiglia, io non sapevo se quelle cose le avrei avute mai