Elisalillibedo: Detto questo mi unisco alle riflessioni di Ilaria... personalmente io prenderei un kentuki o una connsessione solo quando me lo farebbero diventare necessario (come mi successe col cellulare, con whatsapp, ecc...), ne apprezzerei i lati utili e divertenti (se ce ne dovessero mai essere) e dopo un po' vorrei scagliarlo contro un muro ma non riuscirei a farlo perché sarebbe talmente entrato nella vita e negli usi quotidiani che stare senza sembrerebbe tagliarmi fuori da troppe cose comode e/o utili facendomi incavolare almeno quattro volte al giorno (esattamente il mio rapporto con i prodotti di Zuckerberg & C). Con questa scherzosa riflessione, che dà in pasto a tutti voi qualcosa di me , voglio dire che alla tecnologia prima o poi ci si deve adeguare (a meno, come dicevo, di fare come Captain Fantastic...). Il problema è che forse (forse!) io ho gli strumenti per sopravvivere a questa sopraffazione, riuscendo forse (forse!) a gestire la tecnologia a mio beneficio e non a mio discapito.
Penso sia proprio centrale delle nuove tecnologie: vengono inserite come una novità comoda e poi diventano una necessità, e se non le possiedi rimani tagliato fuori. Banalmente a volte mi capita di uscire senza smartphone e mi ritrovo in situazioni in cui devo tornare a casa a prenderlo perché gli altri mi impediscono di fare qualcosa senza di esso. Es. al comune per dei documenti, era chiuso e bisognava telefonare per prendere appuntamento. A fare sport nel parco, e l'istruttrice mi aveva mandato la scheda via whatsapp..
Come dici tu credo che si debba riflettere sui lati positivi e negativi di ogni strumento per noi stessi, decidere se l'utilizzo vale la pena, e poi darsi delle regole per essere sicuri di farne un uso ottimale. Le regole non saranno uguali per tutti naturalmente. Ad esempio, se uno ha un’attività online da pubblicizzare sui social non può sperare che vada bene anche rinunciandovi. Ma chi lo usa solo per mettere dei like agli amici sperando che questi sostituiscano una relazione, allora è meglio rinunciare e fare una telefonata ogni tanto. Perché se devo mantenere una relazione a suon di like, è una relazione talmente sottile che magari è meglio lasciarla andare.. Forse a volte è anche il caso di prendersi qualche scomodità, piuttosto che diventare troppo dipendenti.
Thepinklady: Siamo sicuri che i social li avremmo usati lo stesso se prima avessimo saputo a cosa andavamo incontro? Non li biasimo, Io trovo sarebbe stato veramente difficile prevedere cio' che sarebbe successo, ma alla fine, anche se ormai tutti abbiamo esperienza di come funzionano, continuiamo a sbagliare e a creare sempre piu' piattaforme dove la gente si sente sempre piu' sola, è insicura e anche se vuoi narcisista perchè tutti vogliono attenzioni...
E in effetti lo stesso Zuckerberg afferma che i social servono a mantenere relazioni. Una cosa positiva! Ma poi si è aggiunto che servono a far fare pubblicità alle imprese, a spiare, a perdere semplicemente tempo per avere la parvenza di un momento di piacere e riposo, a "informarsi" (!!!). Whatsapp doveva servire a scambiare immagini e video con gli amici, ora è diventato un disturbo continuo di cui è difficile privarsi. Anche le e-mail, una forma di comunicazione formale ma più veloce di una lettera, sono diventate qualcosa a cui devi rispondere immediatamente e che arrivano a ogni ora.
Il fatto che continuiamo a sbagliare nonostante ne conosciamo i pericoli non deve farci pensare che non siamo capaci di controllarci, è solo che combattiamo un nemico più forte di noi, che sfrutta la nostra psicologia per attirare la nostra attenzione, per questo ritengo che solo dandoci da soli delle regole possiamo riuscire a controllarci.
Mattia P.: Ma se decidessi di fermarti di fronte a quel vecchio ad ascoltarlo e lo guardassi negli occhi, scopriresti che dietro a quelle rughe c’è un uomo o una donna che come te è stato giovane e che ha tanto, tanto da raccontarti. Scopriresti che magari, quando aveva la tua età ha rischiato la sua vita perché tu oggi possa vivere la tua da uomo libero.
Nautilus: Per certi versi è un libro che ci mette a disagio, perchè ci pone di fronte a situazioni che possiamo vivere, a pensieri che possiamo fare, a comportamenti che possiamo tenere. L'autrice sviscera l'essere umano, di cui ci fa vedere anche i pensieri più reconditi, quelli che apertamente non manifesterebbe mai, ma che dietro l'anonimato di una webcam non si fa scrupoli ad esprimere. Chi avrebbe il coraggio di dire che non vale la pena guardare la vita di un anziano? Eppure chi quel coraggio non ce l'ha, grazie all'anonimato non esita a disconnettersi. Non è la tecnologia che crea mostri, meditiamo su questo.
Condivido le vostre riflessioni, anche io ero rimasta molto male di fronte a questi episodi. A quello che dice Nautilus di collega la riflessione di Elisa:
ElisaZ: Parlando di questi casi, ritengo che il kentuki non compia un'opera di traviamento dell'animo umano, ma ne sia in realtà uno spietato rivelatore: danno semplicemente la possibilità di rimuovere tutti quelle sovrastrutture sociali che impongono un determinato codice di condotta morale. L'essere umano, spogliato di queste, è libero di comportarsi come più gli aggrada (anche in modo perverso, crudele o violento), poichè libero da ripercussioni.
Credo quindi che essere un kentuki non vada a modificare l'animo umano, ma a esasperarne determinate componenti... ESATTAMENTE COME SUCCEDE SUI SOCIAL. Una persona educata e con una solida etica morale resta tale di persona, in videochiamata o per messaggio. Al contrario, perdonate il francesismo... un cafone maledicato resta un cafone maleducato, ancor più nel momento in cui può nascondersi dietro in kentuki, che può essere il perfetto corrispettivo di un account fake.
Non ritengo che questo libro presenti solo una critica legata ai social, ma un vero e proprio studio sociale. Ecco perché anche io, come hanno scritto altri, fatico a considerarlo parte del genere "fantascienza"... mi sembra piuttosto REALISMO SOTTO PSEUDONIMO!
Sono pienamente d'accordo!!
Elisalillibedo: perché si chiamano Kentuki?
Blache Francesca: La scrittrice cercò su internet una parola che suonasse bene per esprimere il concetto di oggetto piccolo, elettronico, ecc... le piacque la parola kentuky e la selezionò. Un'ultima cosa: il Titolo originale è Kentuki al plurale.
In un'intervista la scrittrice diceva di essere in cerca di un nome che suonasse poco costoso, un po' una cinesata, ma anche un po' americano, e ha visto che ci sono varie cose con questo nome in giro per il mondo, così l'ha scelto. Non si riferisce al Kentucky e lei stessa lo pronuncia con la u, come se fosse giapponese. è qualcosa che ricorda qualcosa a chiunque lo legga, alla fine è usato in tutto il mondo.
Elisalillibedo: Ma è così per tutto quello che riguarda il progresso, o quasi. Avete mai sentito parlare di accellerazionismo? Il progresso non si può fermare, accelleriamo sempre, qualcuno ci lascia le penne (in senso più o meno figurato) perché il progresso porta danni oltre che vantaggi (un esempio su tutti il cambiamento climatico), ma non si torna indietro, si accellera ancora di più per trovare soluzioni ai danni. Creando altri danni a cui si troveranno altre soluzioni. Molto semplificato, eh! È inquietante, ma il mondo (la società) va così.
Non avevo mai sentito questo termine. Alla fine è una cosa inevitabile, non possono esistere azioni che hanno solo effetti positivi, non esiste la panacea, si va avanti, si sperimenta, e poi si corregge ciò che non va..