Terminato questo romanzo, per me il primo, di Dostoevskij.
Come molti di voi, l’ho trovato a tratti difficile per i molti personaggi e le intricate relazioni tra loro. Tuttavia, nell’ultima parte l’intrigo si chiarisce e la narrazione crea anche quella suspense che accresce l’interesse a proseguire velocemente nella lettura. Ho trovato una scrittura peculiare per la sua chiarezza e per il modo di meta-comunicare con il lettore (con i vari avvisi sul prestare attenzione a certi particolari, l’accenno ad alcuni avvenimenti di cui l’autore avrebbe parlato in seguito e addirittura vicende di cui dichiara che non avrebbe approfondito).
Verso la fine ribadisce più volte che il suo resoconto è un memoriale.
A tal proposito è interessante la definizione di
memoriale:
1. Scritto sommario dedicato all'esposizione di fatti e considerazioni essenziali, spec. su questioni importanti e controverse, spesso redatto a giustificazione del proprio operato.
2. Raccolta di memorie relative alla vita e all'attività di un personaggio illustre.
Leggendo tale definizione è interessante vedere come D. vi si attiene. Infatti omette molti fatti, le vicende narrate sono importanti (almeno per lui) e controverse ed egli ha effettivamente, per tutto il romanzo, un tono in cui cerca spesso di giustificarsi. La scrittura, quindi, in primo luogo mi ha fatto apprezzare questo romanzo.
Secondariamente, mi sono piaciute molto anche la caratterizzazione e la complessità di alcuni personaggi. Lo stesso Arkadij, Versilov, il vecchio Makàr, ma anche Tatjana Pavlovna (molto bello l’epilogo del suo rapporto con Arkadij).
Anche a me ha colpito molto questo passaggio:
Tuttavia porrei come precetto per ogni persona evoluta di rendere immancabilmente felice in qualche modo almeno una creatura, ma praticamente, cioè realmente; così come imporrei per legge, oppure come corvée, a ogni contadino, di piantare almeno un albero nel corso della propria vita, vista la distruzione dei boschi che sta avendo luogo in Russia; d’altronde, un albero solo non basterebbe, si potrebbe anche ordinare che ne piantassero uno all’anno.
A parte l’attualità della parte relativa all’importanza dei boschi (di recente anche in parrocchia c’è stata una iniziativa tipo “adotta un albero”), mi ha colpito molto la prima parte che ho sentito molto mia in quanto persona sposata. Il matrimonio, in
pratica, realmente, come vocazione. Fare
realmente e praticamente felice quella persona che abbiamo scelto. Questo, per quanto mi riguarda, può esser sufficiente a dare senso e pienezza a una vita. Se poi si riesce a far felice più di una persona (per esempio figli o altri mediante altre vocazioni) è tutto grasso che cola…
Altro passaggio che sicuramente fa riflettere è il seguente:
L’uomo piccolo vive nell’indigenza, gli manca un tozzo di pane, non ha di che mantenere i figlioli, dorme sulla paglia pungente, eppure ha il cuore sempre allegro, leggero; egli pecca ed è rozzo, ma il suo cuore è sempre leggero. Mentre l’uomo grande si ubriaca, si rimpinza di cibo, sta seduto sopra un mucchio d’oro, ma in cuore ha sempre soltanto tristezza. Alcuni hanno studiato tutte le scienze, e in loro non c’è che tristezza. E io penso che quanto più intelletto si acquista, tanto più cresce la noia. Basta pensare poi a questo: si insegna da quando esiste il mondo, e che cosa sono riusciti a insegnare di buono, perché il mondo fosse il soggiorno più bello e allegro e ripieno di ogni gioia? E dirò un’altra cosa: non hanno la grazia, e nemmeno la desiderano; sono tutti perduti e ciascuno loda soltanto la propria perdizione, e non pensa a rivolgersi verso l’unica verità: ma vivere senza Dio è soltanto una sofferenza. E così accade che proprio ciò che ci illumina noi lo malediciamo, e noi stessi lo ignoriamo. E a che pro? L’uomo non può neppure esistere senza inchinarsi; un simile uomo non sopporterebbe se stesso, né nessun altro uomo ci riuscirebbe. E se rinnegherà Dio, si inchinerà a un idolo, di legno o d’oro, o del pensiero.
Si può essere d’accordo o meno, però ha il pregio di far riflettere. Pensavo per esempio a quegli studi socio-psicologici che si sono presi la briga di misurare la felicità in varie parti del mondo. In genere emerge che i livelli più alti di felicità si associano a elevati livelli maggiori di povertà materiale. Tra i vari video natalizi che girano mi è rimasto impresso quello di un villaggio africano dove trenta-quaranta bambini di tutte le età ballavano (in modo anche coreografico) e cantavano un canto natalizio (in un clima estivo) un po' in spagnolo, un po in inglese e suonando con strumenti fatti delle cose piu improbabili come secchi di vernice e bottiglie di plastica. Gioia da tutti i pori, nessuno che stava a guardare, tutti vogliosi di fare festa! Fa riflettere… Quanti dei nostri bambini, si sarebbero invece isolati col cellulare?
Ci sarebbe poi tutto il discorso su quanto l’istruzione ci rende o meno felici. Io estenderei il discorso alla
consapevolezza. L’istruzione ci rende più consapevoli di certi aspetti della vita che poi non si possono più ignorare e talvolta generano sofferenza (inutile?). È difficile spiegarlo. Un esempio banale (e parziale) potrebbe essere quello della consapevolezza che in altre parti del mondo la vita è terribile (vedi i profughi afgani). Per concludere, giudizio assolutamente positivo su questo romanzo.
Grazie ancora a Graziella per averlo proposto e per essere sicuramente riuscita con la sua passione a trasmettere l’importanza e la profondità del signor D. con il quale penso ci rincontreremo presto: ho già la versione cartacea di
Crime and Punishment regalatami dalla mamma (mia amica) del traduttore per la Penguin, il prof. Oliver Ready.