Romanzo carinissimo che fa riflettere e ridere allo stesso tempo.
Sull’ingresso di Marcello, la sua trattoria e la passione per la medicina non solo son scoppiato a ridere, ma ho sentito il bisogno di condividere subito la scena con mia moglie.
Mi aspettavo dei personaggi divertenti e interessanti e così, in effetti, sono. Forte anche Amed, il somalo che sovverte lo stereotipo della discriminazione, discriminando.
Certo ci sono scene capaci addirittura di suspense, come la preparazione e l’ingresso in sala operatoria. Penso che chi ha fatto quell’esperienza, anche per interventi meno importanti, non abbia fatto fatica a empatizzare con le emozioni di Luigi (o della moglie), leggendo la descrizione di Torre.
Ma ci sono molteplici spunti di riflessione che rendono il romanzo, a mio avviso, riuscito e completo. Riflessioni che riguardano i rapporti di potere in istituzioni come l’ospedale (per es., lo scaricabarile della rabbia), l’importanza che hanno le relazioni sociali nel determinare il benessere sul posto di lavoro (“non sono i chilometri ma è sta gente dem…”), o ancora la riflessione su come le nostre difese psicologiche ci portano spesso a ritenere che “questo a me non può succedere” e se succede: “ma perché proprio a me, ci deve essere un errore…” (vedi lo smarrimento di Costa).Ma è davvero un bel libro per avvicinarsi, grazie all’ironia e alla bravura dell’autore, a un’esperienza, quella in ospedale (istituzione totale), per la quale non siamo mai psicologicamente preparati. E invece come dice Barbieri: “Eh no però cazzarola, noi dobbiamo crederci, sennò qua ragazzi quando la vinciamo la guerra?”.
Insomma, l’unico difetto di stò libro mi sembra essere il fatto che “fernesce subbito!”.
"Bea sostiene che leggere è un'arte in via di estinzione e che i libri sono specchi in cui troviamo solo ciò che abbiamo dentro di noi, e che la lettura coinvolge mente e cuore, due merci sempre più rare"
Carlos Ruiz Zafon