Il libro tocca molto la sensibilità individuale, quindi penso sia del tutto normale che possa suscitare emozioni molto contrastanti non solo a seconda della persona e delle esperienze, ma anche del periodo in cui si legge. Inoltre, penso che le esperienze "ospedaliere" siano molto variegate. Restando dal punto di vista del paziente, in alcuni casi il dolore è così intenso che essere divertiti o perfino accorgersi di altro è impossibile. In altri casi (visite, cure periodiche, ricoveri lunghi, attese di interventi ecc.) invece è più naturale "vivere" l'ambiente e il contesto circostante. Ed è a queste ultime ipotesi, secondo me, che si rivolge soprattutto il libro di Torre.
Riprendendo il tema dei rapporti tra pazienti e il commento di silviArki, volevo raccontare alcune esperienze personali, che mi sono venute alla mente leggendo il libro.
Per varie ragioni ho sperimentato diversi ricoveri e ricordo di aver avuto vari compagni. I ricordi, come accade in questi casi, trascorrono dal comico al tragico.
Una volta ero con un uomo abbastanza anziano cui la moglie portava più o meno ogni giorno cibo in grande quantità, essendo quello dell'ospedale (come spiega Torre) abbastanza orribile. Ricordo che entrambi erano molto gentili e me lo offrivano, anche se io non potevo mangiarlo.
Quando il tizio anziano fu dimesso arrivò un incubo! Un tizio di origini o almeno sembianze orientali che parlava con un accento romano pesantissimo (secondo me lui stesso non era in grado di distinguere l'italiano dal dialetto) e soprattutto faceva parte di un giro - credo illegale - di vendita di merce di qualsiasi genere. La gran parte del tempo passava con lui che tentava di vendermi qualsiasi tipo di oggetto - telefonini, scarpe, frigoriferi - e io che tentavo di leggere e ignorarlo.
Passando al tragico, mi è rimasta impressa la telefonata di un tizio, anche lui abbastanza anziano, che parlando con la moglie diceva qualcosa tipo "questa volta è davvero finita", immagino preconizzando la propria morte.
Infine, ma questo è proprio tragico (chi non vuole non legga
), non potrò mai dimenticare la seguente vicenda. Ero solo in una stanza e di notte fecero entrare un uomo anziano che respirava molto rumorosamente e non era in grado di parlare. Io non vedevo nulla, perché lo coprirono con una tenda. Alcuni parenti, credo i figli, parlarono coi medici con la voce già rotta dal pianto e ricordo che gli chiesero solo di farlo smettere di soffrire. Poco dopo - andati via i parenti - io sentii commenti molto scoraggianti dei medici. Gli diedero non so quale farmaco e il suo respiro divenne normale. Nel corso della notte morì. Vennero i parenti e ascoltai commuovendomi (un po' come Amed con Luigi, con la differenza che io non vedevo nulla, sentivo solamente) i loro pianti e singhiozzi. Insomma, ho assistito (credo da solo) alla morte di un uomo totalmente sconosciuto e al successivo cordoglio dei parenti, altrettanto sconosciuti.