fiorediloto post=69371 userid=9709MI dispiace, ma non apprezzo né i contenuti né lo stile. Anzi, i contenuti forse ancor meno del modo di presentarceli.
Mi ha fatto innervosire il discorso che fa riguardo ai figli nel secondo capitolo.
Mi sembra uno di quei discorsi del tipo "ai miei tempi funzionava tutto meglio".
Non sono mali ""liquido-moderni"", non sono mode, sono difficoltà e mali che ci sono sempre stati, con l'unica differenza che ora ce ne prendiamo carico e non chiudiamo gli occhi.
Questo è il mio pensiero.
Ti ringrazio per il tuo commento, è esattamente ciò che penso anche io! Il mio spirito transfemminista si è sentito gravemente offeso da questo secondo capitolo
sono come uno sciame di api che è stato scosso in questo momento!
Dico transfemminista perché, a parte la critica al mondo materno e alle sue difficoltà, mi sono sentita parecchio infastidita dal discorso sull'identità di genere. Un pensiero proprio antico!
Ma andiamo con ordine.
QUESTIONE FEMMINILE:
Ho pensato a lungo su cosa scrivere rispetto a questo secondo, polemico capitolo, ma la verità è che ogni parola sarebbe stata durissima e non volevo apparire eccessivamente polemica. Riprenderò quindi quanto ho detto prima: io non c'ero, ho solo 26 anni; non ho idea di come si vivesse prima. Ma vorrei interpellare qualcuno che lo sapeva eccome, e sarebbe molto meno reticente di me a cantarne quattro a Bauman!
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Questo video qui è la migliore risposta a tutta quella parte in cui Bauman afferma che un tempo i figli erano una ricchezza perché proseguivano la stirpe e portavano forza lavoro. Vero, non c'è che dire; ma ci siamo scordati che nei cari tempi andati non si sentiva affatto il parere delle donne! La stirpe dell'uomo; la forza lavoro maschile. Questa era la ricchezza della prole!
Di fronte a certi commenti di Bauman, a Simone De Beauvoir sarebbe accapponata la pelle.
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Questo video qui invece (frase simpatica a parte
) racchiude tutto lo spirito femminista dei tempi che anche Bauman ha vissuto. La signora non ha contratto matrimonio e non ha avuto figli; ha scelto la sua libertà. Abitante del mondo liquido-moderno? No; rifiuta solo il morso del patriarcato. Continuiamo a sputare su Hegel!
Su depressione post-partum e crisi coniugali non torno. Come @fiorediloto anche io penso che queste difficoltà ci sono sempre state. Siamo solo meno ipocriti.
Il "
servizio di assistenza dopovendita" piuttosto... il pediatra, le mammane, le bambinaie cos'erano? Le ostetriche e le educatrici cosa sono? Figure da abolire? Chi fa da sè fa per tre? Io qui non ci vedo la terribile liquidità; io qui ci vedo minore ipocrisia e più consapevolezza. Farsi aiutare quando se ne sente il bisogno è una dimostrazione d'amore immensa!
A conclusione, vorrei fare notare come l'argomento figli sia legato all'argomento donne con un nodo scorsoio. Anche in questo saggio, quindi, troviamo ancora lo stereotipo della donna unica responsabile della prole. Non mi aspettavo certo questo da uno studioso del calibro di Bauman...
QUESTIONE IDENTITARIA:
Come spazzare via secoli di lotte contro l'omotransfobia? Niente di più semplice: basta affermare che le identità sessuali sono connotate da "
transitorietà, indefinitività", e che questo rende "
l'homo sexualis ossessionato dall'ansia. Resta sempre il sospetto [...] che si stia vivendo una menzogna o un errore".
Qui ci trovo due criticità importanti. La prima: se l'idenità di genere è una fonte d'ansia i cisgender sono esenti dall'ansia? La seconda: abbiamo deciso di negare il vissuto delle persone omo/trans che si sono realmente trovate a vivere "una menzogna o un errore" per anni, cercando di aderire alle aspettative sociali?
Bauman vede l'identità di genere quasi (e dico quasi perché vorrei lasciargli il beneficio del dubbio) come una scelta arbitraria, un capriccio come un altro, una maschera momentanea da indossare fino alla sazietà. Se fosse vero ciò che dice, nei Paesi in cui l'omossesualità è ancora reato queste difficoltà non dovrebbero verificarsi. Niente di più errato, ovviamente.
Scrive Bauman:
La sottodefinizione, incompletezza e indefinitività dell'identità sessuale (al pari di tutti gli altri aspetti dell'identità in un ambiente liquido-moderno) sono un veleno e il suo antidoto fusi in un'unica, potente superdroga eccitante.
La consapevolezza di questa ambiguità è snervante e genera un'ansia infinita [...] Ma protegge anche dall'umiliazione dell'esito insoddisfacente e del fallimento. C'è sempre la possibilità di attribuire la colpa a una scelta errata, piuttosto che a una incapacità di dimostrarsi all'altezza delle opportunità offerte [...].
L'effetto congiunto del veleno e dell'antidoto è quello di tenere l'homo sexualis in perpetuo movimento, in un senso ("questo tipo di sessualità non ha offerto l'esperienza sublime che mi era stata prospettata") e nell'altro ("altri tipi che ho visto e sentito sono a portata di mano; è solo una questione di tenacia e determinazione").
Ho l'impressione che Bauman si sia perso un passaggio importante: affermare che l'identità di genere non è binaria, e che esistono molteplici identità di genere, non è finalizzato a creare confusione; serve a far capire a tutti che è perfettamente normale e accettabile essere ciò che si è. Quanti disagi e quante sofferenze avremmo risparmiato ai ragazzi del passato se avessimo spiegato chiaro e tondo che ogni sfumatura identitaria è perfetta?
Noi queste "opportunità offerte" non le vogliamo più, perché derivano da una società rigida e patriarcale che ci vuole donne e uomini definiti, con caratteristiche riconosciute e riconoscibili, indistinguibili gli uni dagli altri.
Anche qui torna qualcosa che non mi sarei aspettata da Bauman: la preoccupazione verso chi e come si ama. Non mi spiegherò mai cosa disturba questi dinosauri del passato.
UNICA NOTA POSITIVA DEL CAPITOLO (mi voglio fare perdonare la polemicità xD): l'uso del cellulare.
Non perdi mai di vista il tuo cellulare. La tua tuta da jogging è dotata di una tasca per il cellulare, e non lasceresti mai quella tasca vuota così come non andresti mai a correre senza le tue scarpette.
Qui concordo con @davpal3: oggi il cellulare è un'estensione di noi; basta non rispondere per mezza giornata e la gente si preoccupa come se fossi sparito dal mondo. Siamo sempre iperconnessi, "
chi ti sta attorno non può estrometterti da nulla", siamo in movimento stando fermi.
Ma come si ripercuote questo nelle nostre relazioni? In modo negativo, a mio avviso. Concordo ad esempio sulla parte in cui si dice che "
la prossimità virtuale può essere interrotta, sia concretamente che metaforicamente: basta premere un pulsante". Basta sconnettersi o evitare di rispondere a un messaggio se questo non è nel nostro volere; un'opportunità che dal vivo non avremmo mai avuto.
Conosco una persona che risponde ai messaggi sui gruppi ma non a quelli privati quando sente di non avere l'energia necessaria per affrontare una conversazione a tu per tu. Il digitale le offre un compromesso allettante: mette in stand-by la persona e soddisfa comunque il bisogno di vicinanza digitando un messaggio su un canale di comunicazione più superficiale. Come dice Bauman: "
ogni singola unità fa la stessa cosa ma nulla viene fatto in comune. Le unità marciano al passo ma non in linea". Siamo tutti connessi ad un device, ma nessuno è connesso agli altri.