Ho terminato il primo capitolo, e mi sento esplodere di informazioni!
Come @bibbagood, anche io ho percepito un certo pessimismo in Bauman, una visione cinica generalizzata che non offre alcuna speranza né suggerisce spiragli di miglioramento.
Questa sua tendenza alla lettura negativa dei fatti l'ho trovata anche nei passaggi in cui parla dell'amore e della morte. Per quanto mi piaccia l'idea che porta avanti, e cioè che ogni storia d'amore è unica e irripetibile, assimilarla alla morte è un po'... come dire... singolare (?)
Però ho capito cosa volesse dire, e l'ho apprezzato: così come la morte è incerta e ci fa paura, così anche l'amore, "
impulso creativo [...] che nessuno può mai sapere dove andrà a finire" ci induce ad evitare di "c
onsegnarci in ostaggio al destino" (bellissima frase) e a ricercare schemi e skills da utilizzare per mantenere una parvenza di controllo su ciò che per definizione è fuori dal nostro controllo.
L'amore, in quest'ottica, diventa un lavoro come un altro. Si acquista expertise in ambito relazionale, come se le relazioni fossero tutte uguali. Più relazioni si hanno, più soft skills si acquisiscono, più è competitivo il nostro curriculum. Come diceva @davpal3, in un panorama del genere l'incremento dei disturbi d'ansia non può essere un caso.
Eppure la verità, secondo me, resta immutata: e la verità è che, se l'assetto sociale cambia, i bisogni di vicinanza, sostegno, reciprocità restano invariati. L'essere amati "
nonostante noi stessi", come diceva Hugo, è qualcosa che tutti sperano, per quanto inseriti nella logica consumistica che inflaziona tutto. Non sono quindi pienamente d'accordo con Bauman quando dice che:
Il vincolo che dura "finché morte ci separi" è decisamente fuori moda [...]. Ma la caduta in disuso di tale nozione ha finito inevitabilmente per abbassare il livello di difficoltà delle prove che un'esperienza deve superare per fregiarsi del titolo di "amore".
Qui ho sentito un po' odore di stantio: se l'amore è infatti "
un mutuo ipotecario su un futuro incerto e imperscrutabile"; se l'amore è "
precarietà e apprensione"; se l'amore è "
sopravvivenza dell'io attraverso l'alterità dell'io"; se l'amore è "
vivere nella perpetua incertezza" (tutte parole di Bauman) ... come facciamo a giudicare quali prove e quali eventi siano o non siano da riportarsi all'amore? È solo il sacro vincolo del matrimonio la prova definitiva dell'amore? Per Bauman, evidentemente sì (anche se lui ha divorziato xD).
Come @bibbagood, anche io sono rimasta francamente perplessa per l'opinione sulla convivenza, entro cui non si farebbero giuramenti o progetti. Qua ho proprio sentito l'odore di naftalina del cappotto di zia
L'amore è incertezza, Bauman ce lo dice in tutte le salse; è un "
odioso paradosso" in cui non vi è mai sicurezza di niente, perché l'amore è continuo divenire. E allora che cambia tra convivenza e matrimonio? Forse un anello al dito cancella l'incertezza? L'altro resta sempre sconosciuto e inconoscibile, in quanto appunto Altro da noi. Non è il matrimonio che rende l'altro una nostra proprietà, un terreno ormai stranoto su cui possiamo smettere di indagarci.
La convivenza poi, a differenza di quanto ritenuto da Bauman, ha un peso eccome: tante coppie convivono per una vita e hanno alla base giuramenti molto più solidi di tanti matrimonio. E poi convivere significa dividere gli spazi, conoscere le rispettive abitudini, provvedere alla stessa casa ... non è forse un impegno questo? Dalle convivenze nascono figli anche molto voluti, si adottano animali domestici, si accendono mutui, si costruiscono pure mobili di sana pianta.
Non è il vincolo religioso del matrimonio a sancire cosa sia o non sia amore; su questo sono molto ferma!
Finito con la vena polemica, arrivo alle parti che invece mi sono piaciute
Ho apprezzato molto la concezione dell'amore come incertezza incontrollabile che può causare insicurezze nell'uomo. In effetti nessuno di noi conosce il proprio destino, nè in amore nè in altro, ed è giusto rinunciare a questa voglia di tenere tutto sotto controllo che ci prende tante, troppe volte.
L'insicurezza dell'amore può portare a "
due perversioni contrapposte", di un'attualità incredibile a mio parere:
- La dipendenza affettiva: io tollero l'intollerabile, ti lascio del tutto libero, "ti permetto di essere ciò che sei e ti ostini a essere, per quanti dubbi io possa nutrire sull'oculatezza della tua scelta" così che tu rimanga con me e io possa scongiurare il rischio che tu mi lasci. Ho amato il passaggio in cui Bauman dice:
Qualunque danno la tua ostinazione possa causarti, non oserò contraddirti, per timore che possa trovarti costretto a scegliere tra la tua libertà e il mio amore. Puoi contare sulla mia approvazione, qualunque cosa accada... E poiché l'amore non può che essere possessivo, la mia amorevole generosità è assistita dalla speranza: quell'assegno in bianco è un dono del mio amore, un prezioso regalo che nessun altro ti farebbe. Il mio amore è quel tranquillo paradiso che tu cercavi e di cui avevi bisogno anche qualora non lo cercassi. Ora che la tua ricerca è finita puoi finalmente riposare...
- L'amore "antropofagico", cioè quell'amore che mira ad annullare la distanza tra me e l'altro rendendolo una parte inseparabile di me. L'amore si trasforma così in possesso, in atto violento verso un altro che diviene una mia estensione priva di volontà propria.
Ovunque io vada, verrai con me; qualunque cosa io faccia, la farai anche tu; qualunque cosa io accetti, l'accetterai anche tu; qualunque cosa io rifiuti, la rifiuterai anche tu.
Ma quante volte capita? E quante di queste situazioni hanno esiti disgraziatamente tragici? In questo Bauman ci ha visto veramente lungo.
Chiudo dicendo che, come @davpal3, anche io sono rimasta colpita dalla parte in cui Bauman afferma che alcune volte l'amore possa assumere sembianze autocelebrative. Vedo questo fenomeno come un'estensione dell'amore antropofagico: l'altro diventa "
una tela bianca [...]. Le sue tinte naturali sono state decolorate, in modo da non contrastare o tradire le sembianze ritratte dal pittore". L'altro scompare, non esiste, è semplice simulacro di me in questa relazione in cui entrambe le persone sono io: l'Io che conosco e su cui credo di avere il controllo; e l'Io che non conosco (l'Ombra direbbe Jung), che non conosco, che temo e che proietto sull'altro nel tentativo di controllarlo.
Ma l'altro non sono io, nè tantomeno è una tela bianca. "
Le tele [...] non fanno sapere come
stanno di propria iniziativa. Le tele umane, invece, a volte sì". E con che esiti nefasti!