Ebbene sì... a questo punto mi tocca ammettere la verità: anche io ho preferito il terzo capitolo
Tralasciando le considerazioni sulla politica e sulla distribuzione urbana della popolazione, su cui non metto bocca sia perché non ci capisco un'acca sia perché non è tra i miei interessi, il discorso sulla necessità di ritornare al valore della dignità umana mi è piaciuto moltissimo. Forse perché la guerra è tutt'altro che sorpassata; forse perché la violenza continua a dilagare ovunque senza posa; forse per le recenti notizie sui nostri connazionali trattenuti in carcere in condizioni disumane. L'ho trovato tanto attuale e importante.
Il ragionamento di Bauman parte da un dictat di biblica memoria: "
ama il tuo prossimo come te stesso". Bauman ammette che non è sempre facile amare il prossimo: "
se amo qualcuno, è perché in qualche modo se l'è meritato". Ma:
Amare il prossimo può richiedere un atto di fede; il suo risultato, tuttavia, segna l'atto di nascita dell'umanità. Segna anche il fatidico passaggio dall'istinto di sopravvivenza alla moralità.
Questa frase mi ha fatto tornare in mente un aneddotto (verità? Leggenda? Chissà).
Uno studente chiese all'antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. La Mead rispose che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito, perché questo segna il passaggio dell'uomo dal regno animale, naturale ma brutale, al regno civile, innaturale ma morale.
Nel regno animale, se ti rompi una gamba muori: non puoi scappare dai pericoli; non puoi procacciarti il cibo; non puoi cercare l'acqua. Nessun animale sopravvive ad una gamba rotta abbastanza a lungo perché l'osso guarisca. Diventa carne da macello, e nessuno si cura più di lui. Nel regno animale vige la legge "
del più forte, del più astuto, abile o scaltro nel fare tutto ciò che occorre per sopravvivere al più debole e sventurato".
Un femore rotto e poi guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di raccogliere chi è caduto, di portarlo in un luogo sicuro, di bendarne la ferita e di aiutarlo a riprendersi. In sintesi: aiutare l'altro nella difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. E Bauman non potrebbe essere più d'accordo.
Usare violenza sull'altro; dichiarargli guerra; negargli il proprio aiuto, anzi, concorrere ad affossarlo: sono tutti atti che fanno scivolare l'uomo in uno stato bestiale di puro istinto, senza morale. "
Colui che cerca di sopravvivere uccidendo l'umanità contenuta in altri esseri umani sopravvive alla morte della sua stessa umanità".
Eppure la storia contemporanea è un cimitero ambulante, un continuo susseguirsi di "
nuovi e migliori espedienti", sempre più brutali, sempre più censorei, che vengono "
collaudati e, se ritenuti validi, aggiunti all'inventario". Abbiamo abdicato e continuiamo ad abdicare alla moralità, scegliendo di comportarci come animali, annullando fino alle fondamenta la dignità umana, seguendo "
un'aspettativa di profitto, agio, gloria o autocelebrazione".
Sempre più spesso, a "
ama il tuo prossimo come te stesso" la contemporaneità risponde con una citazione altrettanto biblica, ma dal gusto decisamente più amaro: "
Sono forse il guardiano di mio fratello?". Siamo tutti Caino quando stiamo in silenzio; quando ci voltiamo dall'altra parte; quando guardiamo alla guerra e alla violenza con rassegnazione, "Tanto che possiamo farci, non serve a niente, la mia voce è una goccia in mezzo al mare".
La moralità non è più una bussola per l'esistenza; è solo uno dei tanti abiti che possiamo indossare, quando ci serve, come ci conviene; e questo ci allontana sempre di più gli uni dagli altri, in un crescente clima di sfiducia.
Oggi il mondo sembra cospirare ai danni della fiducia.
Guardando "
ama il tuo prossimo come te stesso" in un'ottica puramente psicologica, come fa Bauman a inizio capitolo, ho trovato legittima la sua domanda: ma che significa amare se stessi? Bauman risponde: "
ciò che amiamo nel nostro amore di sè è un proprio io degno di essere amato. Ciò che amiamo è lo stato, o la speranza, di essere amati".
Si impara ad amare se stessi se qualcuno ci ama; è un caposaldo della psicodinamica. "
Cosa vede un bambino nel volto di sua madre?" si era chiesto Winnicott, pediatra e psicologo, qualche anno addietro. E si era risposto: un bambino vede se stesso nel volto della madre; un se stesso pieno di qualità; un se stesso degno, o non degno, d'amore. Se siamo amati, noi amiamo. "
Il diniego dello status di oggetto degno di essere amato - genera odio di sè".
Qual è l'indizio più efficace che gli altri ci amano, o sono comunque disponibili ad amarci? Bauman risponde anche a questo: "
quando gli altri ci ascoltano [...] con un interesse che tradisce/segnala una disponibilità a rispondere". L'Altro è disposto a sentirci, a tenere in debita considerazione le nostre parole, a chiederci additittura di parlare, facendoci sentire che "
ciò che sono e faccio conta".
Amare il nostro prossimo come amiamo noi stessi significherebbe dunque "rispettare la reciproca unicità": apprezzare il valore delle nostre differenze, le quali arricchiscono il mondo che tutti insieme abitiamo, rendendolo un luogo più affascinante.
Alla luce di ciò possiamo dire cosa significa non amare l'altro. Se amare l'altro come noi stessi significa ascoltarlo e fargli sentire di avere un valore nel mondo, negare l'amore significa agire in maniera tale da "
impedire che le vittime riescano non solo a far sentire la propria voce, ma anche a farsi ascoltare".
Quante riflessioni possiamo fare su questo? C'è tutta la nostra contemporaneità qui: l'Olocausto, le foibe, le vittime di mafia, le donne curde, la guerra in Iran, le dittature asiatiche. Più fenomeni, unico scopo: sopprimere la voce dell'altro; negargli il diritto di essere riconosciuto come appartenente al genere umano.