pierbusa ha scritto: Durante questa "rilettura del mese" cercheremo di farci delle domande e  di darci le relative risposte. Io propongo la prima, voi siete liberi di proporne delle altre numerandole progressivamente. Chi ne conoscesse la risposta riporterà insieme ad essa anche il numero della domanda a cui fa riferimento.
1) Perché "Il nome della rosa" ha questo titolo?
scusami Pier...una curiosità...
ma nella versione che stai leggendo, ci sono le postille?
nella mia versione (pocket mondadori) ci sono...quindi io parlo sempre dando per scontato che in tutte le versioni ci siano
ad esempio quando ho comprato la prima edizione non c'erano (scontato)...ma ci sono rimasto male 
 
 
in ogni caso...
domanda 1)
da Le postille a Il nome della rosa
"Il titolo e il senso
Da quando ho scritto Il nome della rosa mi arrivano molte lettere di lettori che mi chiedono cosa significa l'esametro latino finale, e perché questo esametro ha dato origine al titolo. Rispondo che si tratta di un verso da De contemptu mundi di Bernardo Morliacense, un benedettino del XII secolo, il quale varia sul tema dell'ubi sunt (da cui poi il mais où sont les neiges d'antan di Villon), salvo che Bernardo aggiunge al topos corrente (i grandi di un tempo, le città famose, le belle principesse, tutto svanisce nel nulla) l'idea che di tutte queste cose scomparse ci rimangono puri nomi. Ricordo che Abelardo usava l'esempio dell'enunciato nulla rosa est per mostrare come il linguaggio potesse parlare sia delle cose scomparse che di quelle inesistenti. Dopodiché lascio che il lettore tragga le sue conseguenze.
Un narratore non deve fornire interpretazioni della propria opera, altrimenti non avrebbe scritto un romanzo, che è una macchina per generare interpretazioni. Ma uno dei principali ostacoli alla realizzazione di questo virtuoso proposito è proprio il fatto che un romanzo deve avere un titolo.
Un titolo è purtroppo già una chiave interpretativa. Non ci si può sottrarre alle suggestioni generate da Il rosso e il nero o da Guerra e pace. I titoli più rispettosi del lettore sono quelli che si riducono al nome dell'eroe eponimo, come David Copperfield o riducono al nome dell'eroe eponimo, come David Copperfield o Robinson Crusoe, ma anche il riferimento all'eponimo può costituire una indebita ingerenza da parte dell'autore. Le Père Goriot centra l'attenzione del lettore sulla figura del vecchio padre, mentre il romanzo è anche l'epopea di Rastignac, o di Vautrin alias Collin. Forse bisognerebbe essere onestamente disonesti come Dumas,
poiché è chiaro che I tre moschettieri è in verità la storia del quarto. Ma sono lussi rari, e forse l'autore può consentirseli solo per sbaglio.
Il mio romanzo aveva un altro titolo di lavoro, che era l'Abbazia del delitto. L'ho scartato perché fissa l'attenzione del lettore sulla sola trama poliziesca e poteva illecitamente indurre sfortunati acquirenti, in caccia di storie tutte azione, a buttarsi su un libro che li avrebbe delusi. Il mio sogno era di intitolare il libro Adso da Melk. Titolo molto neutro, perché Adso era pur sempre la voce narrante. Ma da noi gli editori non amano i nomi propri, persino Fermo e Lucia è stato riciclato in altra forma, e per il resto ci sono pochi esempi, come Lemmonio Boreo, Rubé o Metello... Pochissimi, rispetto alle legioni di cugine Bette, di Barry Lyndon, di Armance e di Tom Jones che popolano altre letterature.
L'idea del Nome della rosa mi venne quasi per caso e mi piacque perché la rosa è una figura simbolica così densa di significati da non averne quasi più nessuno: rosa mistica, e rosa ha vissuto quel che vivono le rose, la guerra delle due rose, una rosa è una rosa è una rosa è una rosa, i rosacroce, grazie delle magnifiche rose, rosa fresca aulentissima. Il lettore ne risultava giustamente depistato, non poteva scegliere una interpretazione; e anche se avesse colto le possibili letture nominaliste del verso finale ci arrivava appunto alla fine, quando già aveva fatto chissà quali altre scelte. Un titolo deve confondere le idee, non irreggimentarle."