In questa pausa pranzo ho potuto procedere abbastanza speditamente con la lettura e devo dire di avere dei sentimenti contrastanti.
La Austen è chiaramente un'ottima osservatrice e riesce a penetrare e a descrivere molto bene i suoi personaggi. Hanno tutti psicologie complesse che vengono date con grande economia di parole. Alcuni personaggi sono più marcati di altri ma sempre ben fatti. Mi piace come basti una piccola frase o anche un solo aggettivo per aggiungere qualcosa di pungente che offre il lato oscuro del personaggio. Lato oscuro che spesso, in questo circolo di ricchi nobili, è la vanità.
L'introduzione di Mary mi è piaciuta particolarmente, perché mi ha ricordato alcune persone che ho conosciuto, piene di qualità e molto ligie allo studio e al dovere, ma prese pochissimo in considerazione dagli altri perché mancano completamente di personalità, di un punto di vista originale, di un pensiero proprio. Pappagalli che non fanno altro che ripetere la lezione impartita, che vorrebbero essere ammirati per quanto la ripetono bene e che si struggono perché ciò non succede.
Traduco liberamente la descrizione di Mary:
E proprio Mary, qualche pagina prima, tira fuori un interessante discorso sul concetto di "orgoglio":
Parole condivisibili, se non fossero dette da una che a sua volta è vanitosa.
Detto questo, vengo alle note negative. Il libro mi piace quando siamo all'interno dell'azione presente o quando si tratteggiano i personaggi. Ma la maggior parte di ciò che ho letto (che ammetto essere ancora poco, quindi concedo il beneficio del dubbio) è gossip: si commentano, si analizzano, si costruiscono grandissimi castelli mentali su ogni singolo comportamento di ogni singola persona di ogni singola circostanza. Trovo tutto questo sfiancante. Se all'inizio il libro mi era sembrato leggero come galleggiare sull'acqua, quando affronto queste pagine mi sembra al contrario di correre con l'acqua fino alla cintola. Questo parlottio, queste macchinazioni, mi fanno mettere in prospettiva l'idea romanzata che ho delle Londra, Parigi e Vienna ottocentesche, e mi convinco che sono un uomo del presente: se a me piace una mela, la colgo dal ramo, non ci giro attorno sperando che mi cada in mano preoccupato di quel che pensano gli altri.
La società dell'epoca era molto più provinciale di una cittadina odierna. Il controllo che questo chiacchiericcio da comare esercitava sulla società di allora mi è intollerabile.