SARA1984 ha scritto: è sicuramente un bel libro nel senso che si legge scorrevolmente , scritto bene, pur non approfondendo le cerimonie ebraiche ti da un piccolo spunto e curiosità per approfondire da soli il tutto, pero la storia mi ha un pò deluso mi aspettavo la figura di una donna forte che finalmente prende in mano la sua vita e che cammina a testa alta invece via via che leggevo mi sono trovata una donna che si aggrappa disperatamente all'uomo che in quel momento è gentile con lei .... gli uomini sono tutti un pò travolti dagli eventi e non vedono o non vogliono vedere le occasioni che la vita li riserva...... in questo libro echeggia un aria di depressione che avvolge tutti i personaggi forse è proprio questo che l'autore voleva trasmettere la situazione al livello morale e fisico di tutti gli ebrei in quel periodo
Però io mi sento di difendere Keyla! è vero che si fa trascinare dagli eventi e si attacca in maniera morbosa agli uomini, ma secondo me non lo fa solo perché sono gentili, pensa veramente di essersi innamorata di loro. È una donna che si fa molto prendere dalle emozioni, senza ragionare più di tanto. Lei stessa ad un certo punto del libro si chiede come potesse solo poco tempo prima essere così innamorata di Yarme, ed ora provare un così forte disprezzo per lui.
In realtà lei secondo me é l’unica in tutto il libro ad essere del tutto onesta di sentimenti, pur nella sua semplicità. Yarme stava con lei principalmente per i soldi, Bunem inizialmente anche e poi perché una volta giunti in America lei era tutto ciò che aveva. Keyla invece ha sempre manifestato sentimenti sinceri sia per l’uno che per l’altro, e questo secondo me è testimoniato dal fatto che ha sempre messo davanti quelli che lei credeva essere gli interessi di entrambi ai propri.
Bunem invece non fa altro che cercare un modo di scaricarla e comunque è evidente che i suoi sentimenti non sono sinceri. Si comporta da vero opportunista, pur di non rimanere solo in un Paese che si è rivelato molto più inospitale di quanto si aspettasse.
È vero che si percepisce un alone di depressione che percorre tutta la seconda parte del romanzo, ma secondo me questo è legato al fatto che i due, una volta giunti in America, sono stati risucchiati da questo folle vortice che ti costringe a lavorare 10/12 ore al giorno per ottenere il minimo indispensabile alla sussistenza, per rischiare comunque di rimanere senza lavoro e morire di fame. In un constesto dal genere, nel quale il lavoro, spesso usurante e svilente, non lascia il tempo per nient’altro è normale che la depressione prenda il sopravvento (sopratutto per Bunem che era abituato a studiare più che a lavorare). E questo secondo me succede in particolare quando lui rimane solo e non ha più nemmeno quella consolazione serale che Keyla rappresentava.
Non credo di averci visto la rappresentazione dell’esodo degli ebrei in questa di questa seconda parte (anche se probabilmente a ripensarci è così) . Mi è sembrata più la rapprensetazione di una condizione generale nella quale si ritrovavano tutti gli immigrati che si recavano in America pensando di trovare fortuna e invece la realtà con cui si trovavano a confrontarsi era completamente diversa