Ho finito il libro ieri e devo dire che mi è piaciuto talmente tanto che mi sono astenuto dal leggere il forum per evitare il ben che minimo spoiler. E’ proprio vero che è una questione di sensibilità…
Ho letto però tutti i commenti oggi con molto piacere.
Ho trovato la storia molto coinvolgente, soprattutto perché avendo svolto un dottorato di ricerca, ho visto da vicino certe dinamiche che sono tipiche dell’ambiente universitario. Mi ha colpito ritrovare la descrizione di ciò che ho sempre pensato, cioè che l’università sia un mondo a parte, una specie di realtà parallela e che per poterci lavorare bisogna avere o sviluppare caratteristiche personali particolari, non solo di tipo intellettuale. È un ambiente molto competitivo retto da equilibri e compromessi molto delicati, la pressione psicologica è spesso molto alta e non infrequentemente mi è capitato di assistere a vere e proprie guerre più o meno fredde, lotte intestine e crolli personali e psicologici.
Per quanto riguarda le scelte fatte da Stoner, e in particolare quella di non intervenire in certe situazioni, non mi sento di dare dei giudizi morali. In generale cerco sempre di non farlo. E il motivo è che penso che quasi mai abbiamo un quadro completo di tutte le circostanze e dei moti interiori che hanno portato ad una determinata scelta.
Ho comunque adorato la enorme dedizione e la passione convogliate nel suo lavoro che sicuramente, come già avete sottolineato, è una chiave di lettura centrale. E ancor di più ho amato l’integrità morale dimostrata da Stoner nel suo lavoro, per la quale è disposto persino a compromettere lo stesso.
Infine, un commento sul modo di scrivere che è forse il fattore principale che mi ha fatto amare questa lettura. Uno stile asciutto, è vero, ma capace di dare delle immagini così vivide che non di rado mi è sembrato di essere li seduto accanto a Stoner, o di percorrere affianco a lui la Jesse Hall.
Come Ale ha già fatto notare, bravissimo Williams a descrivere Stoner mediante l’ambiente da lui vissuto, cercato o plasmato. In un passo, all’inizio del libro dice:
A diciassette anni, le sue spalle avevano già iniziato a curvarsi sotto il peso delle cose da fare.
E poco dopo:
La casa era rudimentale, e le assi di legno grezzo cominciavano a curvarsi intorno alla veranda e alle porte.
La ripetizione del verbo curvarsi è estremamente potente nel generare nel lettore tutta la pressione fisica e psicologica alla quale Stoner è sottoposto.
Nel libro mi ha colpito il rapporto tra letteratura e vita. Per molti grandi autori quali Kafka o Proust la letteratura diventa l’unica realtà possibile e degna di essere vissuta. Stoner (e forse Williams?) sembrano chiaramente appartenere a questa scuola.
Prima di allora, quando aveva pensato alla morte, se l’era figurata come un evento letterario o come il lento, naturale logorio del tempo sulla carne imperfetta. Non l’aveva immaginata come un’esplosione di violenza su un campo di battaglia, o un fiotto di sangue che sgorga da una gola tagliata.
Oggi potremo dire che la morte è un’esplosione di violenza su un letto di ospedale quando respirare diventa impossibile.
Altro tema pervasivo del libro è sicuramente lo scorrere inesorabile del tempo e come, in quanto esseri autoriflessivi, ognuno di noi debba fare i conti con questo non trascurabile aspetto della vita.
Era come se, per qualche oscura ragione, indossasse un assurdo travestimento e aveva l’impressione che, se avesse voluto, avrebbe potuto strapparsi dal viso quelle sopracciglia bianche e foltissime, quella massa di capelli canuti, quella carne che pendeva dalle ossa affilate e le profonde rughe che lo facevano sembrare più vecchio.
Chi di noi a un certo punto non ha dovuto fare i conti con l’immagine di sé allo specchio e non ha cominciato a fare qualche riflessione? E il buon Pirandello tante ne ha fatte!
Chiudo questa citazione - e mi scuso per la prolissità – che ancora una volta ribadisce il tema dello scorrere del tempo con una immagine che mi ha colpito per la sua semplicità, ma per l’altrettanta potenza.
Si fermò davanti alle scale che portavano al secondo piano. I gradini erano di marmo e al centro esatto di ognuno c’erano dei piccoli avvallamenti, creati dai passi che li avevano saliti e scesi per decenni. Erano ancora quasi nuovi quando Stoner – quanti anni fa? – si era fermato per la prima volta lì davanti e aveva alzato lo sguardo, come adesso, chiedendosi dove l’avrebbero portato.
Mi sono venuti in mente luoghi quali per esempio i gradini che portano alla cupola di San Pietro a Roma. Pensare a quante persone gli hanno percorsi e per quanti secoli mi ha fatto sentire come un minuscolo granello di sabbia che insieme a miliardi di altri sono riusciti, grazie al lavorio instancabile del vento, a modellare le rocce e scavare montagne.