Ho finito il libro e ho letto tutti i commenti (il che ha richiesto più o meno il tempo di leggere il libro

), davvero interessanti.
Propongo qui alcune mie considerazioni sui temi che mi hanno colpito maggiormente.
Un primo aspetto è il rapporto tra la vita "contadina" e la vita "in società" e l’influenza che l'infanzia/adolescenza di Stoner ha avuto sulla sua esistenza e sul suo modo di essere.
Molto dell'atteggiamento "passivo" di Stoner in numerose situazioni mi sembra possa ascriversi alla sua concezione della vita come essenzialmente dolorosa, ingiusta, come una lotta estenuante contro un nemico che comunque sai già che ti sconfiggerà. La morte del padre di Stoner manifesta in maniera chiarissima l'idea (direi leopardiana) di irrilevanza della vita umana rispetto alla natura, la quale prosegue il proprio corso del tutto indifferente alle vicende degli uomini, che pure tanto si affaticano, si dannano, si agitano per scopi, in ultima analisi, insensati.
Mi sembra che questa sia la concezione "filosofica" che muove Stoner per tutta la sua vita e che lo porta a accettare passivamente l'infelicità propria e altrui. Una concezione così forte da impedirgli di reagire persino quando quella felicità lui pareva averla trovata, nel rapporto con Katherine. Il senso di ineluttabilità di un destino ingiusto appare chiaro quando lui rifiuta di assumersi una "colpa" per quello che è successo, il che lo deprime in misura ancora maggiore (perché la colpa, per quanto grande, può essere espiata; il destino ingiusto non può essere evitato).
Secondo tema per me particolarmente interessante è relativo all’Università. La descrizione del mondo universitario, delle sue dinamiche, delle relazioni tra professori e tra questi ultimi e gli studenta, mi sembra stupenda, chiarissima, attuale.
La rappresentazione che Dave Masters fa dei "tipi" universitari è geniale. Sinceramente non ho trovato definizione più bella dei professori di questa: "non facciamo alcun male, diciamo quello che vogliamo e veniamo pagati per questo" (pessima mia traduzione dall'inglese).
Anche la descrizione del rapporto di Stoner con i propri libri, concepiti a volte come figli, a volte come parte di sé, è illuminante.
Prima di leggere i commenti ero perplesso sulle figure di Edithe (soprattutto) e Lomax. Quello che ha detto Anna, però, mi sembra assolutamente condivisibile. Il libro mostra il punto di vista di Stoner; è la descrizione della sua vita come ognuno di noi vive la propria. In questa prospettiva, appare logico che alcuni comportamenti di altri personaggi ci appaiono incomprensibili o addirittura malvagi.
L'incomunicabilità mi sembra un altro tema del libro. Stoner, che paradossalmente diventerà un professore di Letteratura, non comunica con i suoi genitori, non comunica con Edithe, con la figlia, praticamente con nessuno. Non riesce a comunicare pienamente agli studenti il "senso" profondo delle cose che insegna.
Concludo con una notazione rivolta specialmente al gruppo di lettura di Roma. Il libro è la massima espressione del motto del gruppo "dajearide" (ammetto di essermi commosso nelle ultime pagine). Mi chiedo perché Alessandra non l'abbia proposto, avrebbe avuto senz'altro grande successo