Potrebbe anche essere che ciascuno di noi sia "stimolato" dal testo in maniera differente e che l'eventuale mancanza di spunti di discussione non sia per forza "colpa" del libro ... quanto più una mia particolare predisposizione allo stesso. Che ne dite? È un ragionamento assurdo? 
E' possibile che sia anche questione di (im)preparazione, oltre che di predisposizione

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Sgombro subito il campo dagli equivoci: Mulaky - dico davvero, non per piaggeria - è stata un’ottima moderatrice. Ha sviscerato il testo, posto domande, avanzato ipotesi e fatto ricerche: più di così, per tener viva una discussione (e perlopiù riuscendoci, direi), non avrebbe potuto fare . A meno di non tentare di svincolare la discussione dal testo.
E' quello che quasi spontaneamente avviene quando il libro in questione è un saggio. Si sarebbe tentati di dare una risposta ai quesiti posti da
Uccideresti l'uomo grasso? anche senza aver letto l'intero contenuto: non perché questo sia facile o scontato (da taluni commenti che m'è capitato di leggere posso anzi presumere che debba anche essere parecchio "impegnativo"), ma perché la discussione può arrivare a toccare argomenti già noti attraverso altre fonti.
Per un romanzo è diverso: se non l'hai letto, è quasi impossibile fare un commento. Eppure possibilità di svincolarsi dalla trama esistono, tirando in ballo stili, linguaggi, generi e correnti letterarie, biografie, quadri storici, autori e confronti con altre letture. Ma questo ovviamente presuppone un grado di preparazione o esperienza che - ahimè - non abbiamo (e in questo "noi" includo ovviamente anche me stesso) e forse nemmeno desideriamo avere. E' una limitazione in parte autoimposta per non avere più quella soggezione dei libri che ci ricorda i tempi della scuola, ma che come risvolto della medaglia troppo spesso ci porta a pensare che l'unico giudizio esprimibile nei riguardi d'un romanzo sia quello puramente soggettivo e riassumibile nel solito "mi piace" o "non mi piace". Io non credo che la lettura d'un romanzo possa ridursi solo a questo, ma non ho i mezzi e la capacità di dimostrare che c'è anche dell'altro: e di questo non posso che dispiacermi

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PS : per rispondere anche alla domanda di Francesca, se cioè i personaggi debbano per forza operare un cambiamento all'interno di un romanzo, dico che anche per me non è così, tant’è vero che il personaggio dello zio Fairlie è a mio avviso il meglio riuscito, pur nella sua immutabilità. E’ però anche vero che lo zio è un personaggio secondario, di cui basta tratteggiare qualche tic per lasciarlo imprimere nella memoria. E per certi versi simile è la figura del conte Fosco, l’antagonista. Diverso ritengo debba invece essere il discorso se riferito ai personaggi principali: ma Hartright e Marian non riescono ad essere definibili se non attraverso Laura, paradossalmente la figura letterariamente meno complessa. Perché essi soffrono, amano, sperano, piangono, lottano e vivono solo per Laura: per il resto, in settecento e passa pagine, non provano passioni né coltivano interesse. Possibile? Ecco perché, - estremizzando un po’ il concetto espresso dal conte Fosco – li ho definiti “fantocci”, anziché personaggi: perché da soli non stanno in piedi. O almeno così a me è sembrato.